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di Pino Cabras

Certo che la via burocratica è ora il modo più efficace per spegnere le novità che sgorgano dal lago sempre più prosciugato della democrazia.

Georgescu va forte alle elezioni in Romania? La Corte costituzionale annulla le elezioni con cavilli appesi al nulla. In Sardegna si raccoglie una quantità percentualmente unica al mondo di firme per una legge di iniziativa popolare contro la speculazione energetica monstre? Il Consiglio regionale la tratta come una scartoffia qualsiasi da far marcire in fondo alla pila dei fascicoli. Sempre in Sardegna e sempre contro la speculazione energetica fuori controllo si raccolgono quasi 4 volte tanto le firme necessarie per un referendum consultivo? Un ufficio nominato dalla Presidenza della Giunta Regionale lo dichiara “illegittimo” con argomenti che scimmiottano una Corte costituzionale ancora più decadente di quella rumena.

Le istituzioni sarde – non diversamente dall’intero Occidente, ma con loro specifici difetti – sono diventate una miscela di sabbie mobili dove si impantana la democrazia. Metà del popolo non vota perché non è rappresentato da un sistema elettorale schifoso. Il Consiglio regionale riflette una rete di interessi clientelari molto limitati – spesso meschini – che strutturalmente vede il suffragio popolare non solo con diffidenza e sospetto, ma come un nemico da sopprimere per inedia: la proposta di legge denominata “Pratobello 24” è stata guardata dai consiglieri regionali della maggioranza di centrosinistra con la stessa amorevolezza che il premuroso Netanyahu riserva ai neonati di Gaza. È uno scandalo di cui non hanno ancora valutato la portata in grado di travolgerli. Da ultimo viene la decisione dell’Ufficio Regionale del referendum, un collegio di nomina interamente politica in capo alla Presidente della Regione, ma che vorrebbe vestirsi di un’aura tutta tecnica, imparziale, terza. Ha dimostrato nel peggiore dei modi che non la possiede.

Il diritto, concepito come sistema di norme e principi, possiede una flessibilità intrinseca che può essere sfruttata in modi molto diversi, inclusi quelli contrari agli scopi per cui è stato creato. I giuristi più cinici si beano del concetto che “il diritto è plastilina”. Così, il diritto si presta a interpretazioni differenti perché è spesso formulato in modo generico per essere applicabile a una vasta gamma di situazioni. Tale flessibilità è positiva nella misura in cui consente adattamenti a contesti specifici e in evoluzione. Tuttavia, questa stessa caratteristica può essere manipolata per scopi opportunistici, favorendo l’abuso. Le ambiguità linguistiche o le zone grigie nelle norme possono essere sfruttate da chi ha conoscenze giuridiche o potere – è questo il caso: potere – per piegarlo a esigenze politiche. Il diritto è spesso affidato a chi lo applica – giudici, amministratori pubblici, avvocati – che devono interpretarlo e decidere caso per caso. Un margine discrezionale è necessario, ma può essere piegato a interessi personali, politici o economici. Un Ufficio del Referendum che entra in questioni interpretative costituzionali forza le norme oltre ogni limite. Se il diritto è modellabile a seconda degli interessi di chi lo controlla, occorre vigilare sulla sua indipendenza, sulla trasparenza dei processi decisionali, sull’accesso equo alla giustizia e agli strumenti democratici. Questo atto è inaccettabilmente condizionato dal vertice politico. Non è il Presidente della Regione a dover influire sulla sovranità popolare, ma viceversa.

Escludere i cittadini sardi dal processo decisionale riguardante l’installazione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici di natura industriale sul territorio regionale è una violazione dei principi democratici e dei diritti dei cittadini a partecipare alle scelte che influenzano l’ambiente e il paesaggio in cui vivono. Si discuta quanto prima la legge di iniziativa popolare. Restituiteci anche il Referendum! Come Democrazia Sovrana e Popolare faremo diverse iniziative in tutto il territorio a fianco del popolo sardo.

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