di Ingrid Atzei

Mi piacerebbe parlarvi, oggi, di un volume obiettivamente di non recentissima pubblicazione ma che, proprio per questo, ci aiuta a riflettere con il giusto distacco dal e sul frangente storico in cui è stato scritto e con un bagaglio di conoscenze maggiore. Sto parlando de La fiasca: ovvero la parte giusta dell’umanità, racconto breve scritto da Renato Papale, ambientato a Baghdad durante l’assedio mongolo avvenuto nel XIII secolo per mano del nipote di Gengis Khan.

Com’è noto, la città venne saccheggiata e la biblioteca, con l’importante archivio storico ed umano in essa contenuto, venne bruciata. Questo il contesto storico.

Per quanto, invece, attiene alla narrazione, durante l’assedio, un precettore del califfo, tale Zakariya, tenta la fuga e, per racimolare sufficiente denaro che gli consenta di salvarsi, vende ad un bottegaio che si spaccia per orafo una fiasca d’ottone sbalzato in argento che raffigura soggetti della tradizione cristiana e che è stato realizzato quale dono d’amicizia e d’unione dal Re al-Salih Ayyub per Ferdinando II il quale, tuttavia, non la riceverà mai poiché la VII crociata mossa da Re Luigi IX dei Francesi – della quale Federico avvisò il califfo – glielo impedì. La borraccia cesellata riemerse dalla storia conservata in un museo della Smithsonian Institution a Washington, a pochi passi dalla Casa Bianca, ovvero molto distante dai luoghi nei quali si poteva ipotizzare di trovarla.

L’autore del racconto, ingegnere elettronico appassionato di storia medievale, ne ipotizza le vicissitudini e il travaglio di un lungo viaggio che diviene anche un pellegrinaggio intimo del precettore che se ne liberò per aver salva la propria vita, parimenti derubandone al Creato un’altra: quella del sedicente orafo.

Questo omicidio graverà come un macigno ostinato sull’animo di Zakariya che, per sgravarsene, lo confesserà con una missiva indirizzata all’amico Baybars nella quale gli rivelerà anche la più importante delle verità: «[…] credere che esista una porzione del Creato preferita a Dio, è fargli profonda offesa». Consapevolezza tarda che giunge a farsi strada nell’animo di Zakariya dopo che egli ha metabolizzato l’ammonimento della principessa Jasmine, divenuta schiava del bottegaio, la quale, al fine d’impedirgli di commettere una sciocchezza, lo ammonisce quando egli già impugna l’elsa della propria arma: «Dio è grande, ma l’Amore è più grande». Come a dire che muovere guerra in nome di Dio è menzogna malcelata. Oggi, ne sanno qualcosa i civili della striscia di Gaza, sui quali, in nome di Dio – che, forse, si chiama più precisamente petrolio o, anche, gas naturale – si sta compiendo uno sterminio etnico.

Per quanto attiene agli aspetti tecnici, lo stile narrativo è snello, rapido, a tratti persino troppo. D’altra parte, il racconto è una fuga, perciò l’eloquio stesso deve rimandarne l’affanno, la preoccupazione, l’incombere del tempo. I paragrafi sono brevi, gli a capo frequenti. Il volume, inoltre, è agilissimo poiché si compone di appena un centinaio di pagine, lungo le quali il trilinguismo appare come un potente messaggio d’unione, e condensa un’idea che certamente, se l’autore l’avesse scritta nell’imminenza dell’acquisizione dei dati che ne fanno da substrato (piuttosto che rimandarlo di ben otto anni), avrebbe potuto avere uno sviluppo più sostanzioso – come dimostrano le tavole con la riproduzione a matita e pastello delle diverse sezioni della fiasca ed i relativi appunti -. Certo, in quel caso, avrebbe goduto di qualche dettaglio in più che ne romanzasse il nucleo narrativo di base poiché l’effetto che, così strutturato, se ne evince è che il testo narrativo servisse quale pretesto per veicolare la propria idea di come la fiasca giunse allo Smithsonian. Cionondimeno, il racconto è accattivante, ben scritto, strutturato con attenzione ed emotivamente molto molto pregnante e suggestivo.

L’autore, in una nota, conclude rammentando il crollo delle Torri Gemelle avvenuto l’11 settembre 2001, sovrapponendone – quasi come un effetto speciale da fiction – il fumo dell’esplosione a quello dell’incendio che cancellò l’Archivio di Baghdad ed auspicando, per il neo-insediato presidente americano – che, nello specifico, sarebbe Barack Obama, dal momento che gli appunti del racconto prendono corpo nel 2009 – si prospetti la possibilità di lavorare per la pace.

Ora, nel 2009, a dieci mesi dall’insediamento alla presidenza degli Stati Uniti, cioè quando ancora non aveva fatto proprio nulla che giustificasse il premio, Obama ricevette il Nobel per la Pace. In quel momento, riporre in lui buoni auspici di pacificazione era un tantino prematuro ma un Nobel per la pace è, certamente, un potente mezzo di propaganda. A tal proposito, è interessante ricordare che il Comitato che gli assegnò il premio condivise il suo appello, assai criptico, a rispondere alle sfide globali con risposte globali. Proprio così, perché le risposte, come sappiamo, ci sono già tutte (Obama le definiva “guerre necessarie”), quelle che vanno cercate sono le domande (nelle parole di Obama, le sfide). Come sempre, è il Tempo il miglior siparista nel grande palcoscenico che è la Storia degli uomini e delle loro traversie e quel Nobel fu decisamente prematuro così come mal riposta fu la fiducia…

Rimane il fatto che il volume è gradevole e lancia un messaggio importante: il bene relativizzato non è Bene. Ovvero non si possono ingaggiare guerre in nome di Dio, dimenticandoci che la matrice di qualunque Creato è l’Amore (declinatelo come affetto, unione, condivisione, rispetto, fratellanza, solidarietà, riconoscenza dedizione, eccetera eccetera). Senza l’Amore non c’è vita che contenga in sé i principi della vita ben vissuta, quelli che la dottoressa Gladys MacGarey chiama le Cinque L (Love, Life, Laughter, Labor, Listen) che definiscono il nostro primato tra le specie. Primato conferito da Dio; nelle sue parole Chiunque Dio sia per chiunque tu sia. Messaggio universalistico, o olistico che dir lo si voglia; comunque di pace. E quanta ne servirebbe, oggi, di pace!

Riprendere in mano pubblicazioni non recentissime o anche parecchio datate ci consente di estrapolare parametri che, ogni volta che sarà necessario, fungano da campanelli d’allarme, focus attentivi e background conoscitivi utili per interpretare il presente e non farci sfuggire di mano il futuro.

La fiasca: ovvero la parte giusta dell’umanità di Renato Papale, Felici Editore; anno di pubblicazione 2009. Il volume è trilingue – italiano, inglese, arabo – consta di 100 pagine tra le quali sono presenti disegni e tavole realizzate a mano con tecnica non pittorica e, piuttosto, come schizzi. Prezzo di copertina € 10,00.

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