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di Annibale Serra

Convenuto, così lo hanno chiamato, perché è convenuto ad un accordo di giustizia con condanna concordata, colpevole di cospirazione; pena 5 anni. Già scontata.

Questi sono in maniera stringata gli estremi di un accordo che sono serviti a far liberare il giornalista, definito “Colpevole ma libero” oppure “Libero ma colpevole” dal portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury su editorialedomani.it.

Questo accordo, così descritto giornalisticamente, sembra quasi un lieto fine. Visto che è stato liberato anche se colpevole. Molti credono che non lo sia (ma se lo hanno arrestato qualcosa deve aver fatto direbbero i benpensanti). La pena è già scontata e si potrebbero trarre le conclusioni che la verità sta nel mezzo, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato e via via discorrendo sino a tarallucci e vino.

Con questo patteggiamento, gli Stati Uniti cercano di fare un figurone e forse lo fanno agli occhi della pubblica opinione.

Ma non è così; no, non è così.

L’accordo è lungo e prevede altri passaggi. Con riferimento a quanto riportato da Laura Carrer su wired.it, possiamo evidenziarli come segue:

1) la rinuncia degli Stati Uniti a qualsiasi forma di risarcimento;

2) tre anni di libertà vigilata e una multa da 250000 dollari;

3) “Il convenuto non è cittadino degli Stati Uniti, per cui la sua dichiarazione di colpevolezza e la condanna rendono praticamente inevitabile la sua deportazione” si legge nell’accordo. Di fatto scacciato dagli Stati Uniti come indesiderato, pregiudicato e colpevole;

4) “Gli Stati Uniti si rifiutano di chiedere l’estradizione da qualsiasi paese”, se Assange non violerà l’accordo di patteggiamento. Ma chi deciderà se il patteggiamento è violato?

5) Patteggiamento che prevede, tra l’altro, anche che il giornalista “intraprenda tutte le azioni in suo controllo per far tornare negli Stati Uniti o distruggere qualsiasi informazione non pubblicata presente nei suoi archivi e a lui in possesso, in custodia o sotto il controllo di WikiLeaks o di qualsiasi altro affiliato”;

6) “il convenuto concorda di fornire agli Stati Uniti, o far sì che venga fornita agli Stati Uniti, una dichiarazione giurata che conferma le istruzioni impartitegli”.

L’aquila dalla testa bianca ha piantato gli artigli su Julian Assange e sui giornalisti che volessero emularlo.

Ora, Assange è, di fatto, un pregiudicato e, come tutti quelli nella sua condizione, può essere soggetto ad azioni preventive, oppure a controlli ogni qualvolta si manifesti nell’aria un reato simile a quello da lui commesso. Come a tutti i pregiudicati viene raccomandato di rigare diritto perché la giustizia è sempre in agguato. E che giustizia!, verrebbe da dire.

Noi sappiamo bene che si può sempre sbattere il mostro in prima pagina quando è funzionale al potere, il caso Tortora insegna.

Assange ha tutto da perdere, ad oggi. Potrebbe subire vendette o qualcuno potrebbe farlo scomparire per chiudere un capitolo, magari in circostanze misteriose; potrebbe rimanere implicato in un traffico di droga, d’altronde gli ex galeotti sono sempre a rischio, dai e dai…

Assange ha pestato i piedi a personaggi che posseggono tra le corde anche La ultima razón de los Reyes. E quello che vediamo oggi è un uomo compromesso, con una vita distrutta; un fior di giornalista messo a tacere.

Proprio questo sarà il monito per tutti i giornalisti che, un giorno qualunque, dovessero imbattersi in una notizia pericolosa, in uno scoop che scotta, in una verità indecente o in una confessione compromettente.

Resta da chiedersi: questo qualcuno avrà il coraggio di Julian Assange o, guardando alla sua storia, passerà la mano con buona pace del diritto alla verità d’informazione? Sicuramente, ci sarà da riflettere.

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