di Ingrid Atzei

Il lessico bellico entra, oramai, spesso nel nostro linguaggio quotidiano senza che noi si abbia piena consapevolezza del significato da attribuire ai singoli modi di dire o alle parole che ad esso si riferiscono.

Certamente in questa fattispecie rientrano le cosiddette guerre ibride, altrimenti chiamate multidominio. Ma di cosa si tratta?

Le guerre ibride sono quelle combattute su tutti i fronti: fisici, informativi e cognitivo. All’interno dei fronti fisici non facciamo fatica a riconoscere le competizioni che avvengono a livello aereo, terrestre, acquatico e spaziale. I fronti informativi sono, altresì, piuttosto immediati da individuare: politico e giornalistico in primis, socio-economico-infrastrutturale in secundis e, dulcis in fundo, l’ambiente cyber o net.

Oltre a questi domini, quello che sempre più sta assumendo connotati di complessa trattazione è quello cognitivo, per il quale siamo, al momento, poco avveduti in termini militari, di ricadute civili, sanitari e giuridico-etici e che s’intreccia, o può intrecciarsi, efficacemente con gli altri domini.

Il dominio cognitivo comprende la mente umana tutta e, proprio in relazione alla sua fisiologia, lo spettro elettromagnetico. Andando specificamente ad influenzare, alterare e interferire con le percezioni ed i processamenti mentali umani, la competizione su questo dominio di gioco rende virtualmente planetario il numero di “soldati” e trasforma ogni mente in un’arma potenziale. Sapere come ciò accade e quali strumenti potremmo utilizzare per contrastare questo attacco continuo al nostro processamento di pensiero ci consente di aumentare la nostra consapevolezza circa ciò che ci accade quotidianamente ma che, non essendo esperito con violenza manifesta, non ci rendiamo conto possa rientrare all’interno di un contesto di competizione/conflitto.

La non violenza manifesta dipende, infatti, dal fatto che l’obiettivo dell’influenzare avviene attraverso le “manipolazioni” e rientra all’interno del concetto di soft powers, meno dispendioso in termini economici delle hard powers alle quali ci riferiamo quando facciamo riferimento alle armi tipicamente utilizzate nei domini fisici tradizionali.

Gli strumenti dei quali può avvalersi quella che potremmo definire molto genericamente “persuasione” sono, ad oggi, innumerevoli ed impegnano sia l’ambito farmacologico, che quello dell’intelligenza artificiale, dell’informazione e delle piattaforme social. Insomma, un armamentario al quale i più tra noi non penserebbero mai e che, purtuttavia, non ci molla un attimo nel nostro quotidiano, agisce in maniera massimamente inconsapevole e riguarda, per ovvie ragione, tanto l’ambito militare che quello civile come detto. Anzi, le ricadute civili, ovvero su ciascuno di noi, sono proprio quelle che ci trasformano in soldati potenziali, impreparati, eterodiretti e non consapevoli.

Chiediamoci, infatti: in che senso parliamo di dominio cognitivo?

Due sono gli elementi di base ai quali dobbiamo fare riferimento quando parliamo di dominio cognitivo:

  • quello psicologico (comportamentale) e
  • quello neurologico (elettrochimico),

entrambi algoritmizzabili, prevedibili e manipolabili.

Il 95% dei processi legati a questi elementi avviene inconsciamente. Quel 95% è il target (ampio) delle operazioni cognitive di tipo competitivo (ma anche di marketing) che, quindi, avvengono a livello emotivo sfruttando le, cosiddette, euristiche di pensiero o bias cognitivi, cioè delle distorsioni/semplificazioni di processamento del dato cognitivo. In questo modo, ognuno di noi, nessuno escluso, viene profilato ed indotto a modificare i propri comportamenti, a fare o non fare qualcosa, a pensare o non pensare secondo determinati valori, idee, presupposti.

Così si possono trasformare elettori in sudditi, popoli in schiavi e individui autonomi in operai del regime di turno.

Scriveva Aldous Huxley in “Ritorno al mondo nuovo”: «Può darsi benissimo che un uomo sia fuori dal carcere, eppure non libero; che non subisca alcuna costrizione fisica eppure sia psicologicamente prigioniero, costretto a pensare, sentire, agire come vogliono farlo pensare, sentire, agire i rappresentanti dello Stato nazionale, o di qualche interesse privato entro la nazione. Non esisterà mai qualcosa che possa definirsi “habeas mentem”; infatti, non c’è sceriffo o carceriere che possa portare in tribunale una mente carcerata illegalmente; e la persona cui il cervello sia stato fatto prigioniero […] non può essere in condizione di reclamare contro la propria prigionia. Tale è la natura della costrizione psicologica che chi la subisce serba l’impressione di agire di propria iniziativa».

Rientra, forse, in quest’ottica la dichiarazione recentemente fatta dal Primo Ministro slovacco Robert Fico di non voler perseguire il suo attentatore. Nelle parole da lui pronunciate dopo essersi, in parte, ristabilito dai numerosi interventi a quali si è dovuto sottoporre: «Non intraprenderò alcuna azione legale contro di lui, né chiederò un risarcimento per danni. Lo perdono e gli lascio ricordare quel che ha fatto, e perché lo ha fatto lo risolverà nella sua testa. Alla fine, era evidente che era solo un messaggero del male e dell’odio da parte di chi non ha successo politico».

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