di Ignazio Piano

Proemio:

in Sardegna, l’invasione delle pale eoliche e annessi sta assumendo la stessa sfrontatezza (o maleducazione) delle altre storiche servitù colonialiste. Anche questa volta, il massacro dei territori è avallato da ritrite bugie: al passo coi tempi, star meglio, fonti di lavoro, energia a più basso costo…; la verità è che gli effetti delle invasioni sempre furono, sono – e temo saranno – l’esatto contrario. Quest’ultima imposizione è ulteriormente edulcorata dalla presenza di un allettante eufemismo: energia verde. La beffa sta nel fatto che per far posto all’energia verde si sta devastando “il verde”: la fauna e la flora, la bellezza e l’indole nutritiva dei territori… sia in Sardegna che in altri luoghi del mondo. L’incuranza della falsa energia verde è potentemente simbolizzata nelle immagini della pala meccanica che sradica ulivi secolari; l’ennesimo simbolo di una distruzione celata sotto una falsa egida. Quegli alberi sradicati, in fondo, siamo noi, ognuno di noi. Ma a un bosco che si estirpa (in una Sardegna già ampiamente – secolarmente – disboscata) può succederne uno nuovo che nasce più felice e risoluto; gli alberelli che, da diverse parti dell’Isola, sono arrivati a Selargius potrebbero quindi essere considerati il preludio di una promettente – vitale – risposta massiva; di un nuovo inizio.

Una nuova “Pratobello”? Solo quando ci saremo tutti.

Prima di addentrarci nel vivo della questione, vorrei sgombrare il campo: non accetterei le pale nemmeno se l’iniziativa fosse tutta nostra – o volendo porre un esempio esagerato – se chi le impiantasse elargisse a ogni cittadino mille dollari al giorno a tempo indeterminato. Non credo affatto che l’energia alternativa così concepita sia una rivoluzione ecologico-energetica. Il gesto più rivoluzionario in tal senso potrebbe nascere solo “da un nuovo stile di vita” basato sull’essenzialità. Per condurre una vita felice, in fondo, si ha bisogno di poco; lo spreco, il sovrappiù materiale, paradossalmente, invece di riempire… svuota. Il principio dell’essenzialità, però, vale se tutti adottiamo la parsimonia come stile di vita.

Ciò sottolineato, creare energie alternative per seguitare a produrre-consumare follemente sarà un mero palliativo, un suicidio imbellettato. Inutile aggiungere che il tutto si colora di inaudito quando le gestioni dell’imbellettamento gemono sotto il controllo-beneficio dei pochi e quasi-anonimi detentori delle risorse della terra (in pratica gli stessi che manipolano le dittature ideologiche), risorse che per diritto naturale sono destinate a tutti e che nessuno può accaparrarsi in misura superiore al proprio fabbisogno (cfr. Populorum Progressio, 23).

Tuttavia, è da riconoscere che la ricerca di energie non inquinanti è cosa buona, quando è all’insegna della parsimonia, del bene di ognuno e nel rispetto della natura. Già da anni esistono metodi molto meno invasivi di quelli a noi imposti. Ma come sappiamo, scienza e tecnologie avanzate, non poche volte, vengono nascoste o represse quando intorpidiscono gli affari di alcuni.

Nella stessa Sardegna, alcuni paesi si stanno consorziando per creare fonti energetiche proporzionate alle necessità, senza contaminare gli ecosistemi sia nei loro naturali cicli vitali che nell’estetica. Questo è molto importante perché, quando l’utilità distrugge “il bello”, inficia se stessa. Abbiamo tanti esempi di bello in casa nostra e spesso non riusciamo a vederli.

A questo punto, rifacendomi al titolo e al sottotitolo, mi accingo ad esprimere la mia modesta opinione su quella che considero l’unica forma (non ne vedo davvero altre) per fermare quest’ennesima invasione (e di riflesso le altre). Come già espresso altre volte, lo faccio nel più profondo rispetto di quei cittadini che, già da tempo, si stanno mobilitando attraverso azioni simboliche e concrete al contempo, come la bellissima “rivolta degli ulivi”. In un certo senso, presidi e azioni come quelle alle quali si è dato vita in quel di Selargius, di Uta, della Gallura… potrebbero essere un felice preludio di quanto esprimerò in seguito.

In mezzo a cotanta invasione c’è solo una domanda da porsi: partendo dal presupposto che la non violenza attiva è l’arma più efficace, come difendere la propria terra in modo elegante e rigorosamente non violento? Per vie legali? Certamente: mai disdegnare le vie legali; ma non basta. Sempre più cittadini stanno prendendo coscienza che dall’alto delle istituzioni (Governo centrale e regionale…) non arriverà nessuna protezione se non, a volte, il contrario, come ormai abbondantemente sperimentato. Chi potrà difenderci, allora? La risposta è una semplice deduzione: noi stessi.

Solo noi stessi, sostenuti dal nostro senso civico, possiamo e dobbiamo difendere questa porzione di mondo e di umanità. É l’umanità stessa che ce lo chiede perché tutelarne la propria parte significa adoperarsi affinché la si possa tutela interamente. Come potremo farlo? Io penso con i nostri corpi e con le nostre anime felici; una modalità semplice in se stessa, estremamente impegnativa ma vincente. Solo i nostri corpi potranno essere un ostacolo insormontabile. Nessuno può spostare un intero popolo seduto sulla propria terra. Da non sottovalutare il termine “felici”: se la difesa della nostra casa non sarà un cammino felice, non avrà successo. Ho la mia terra nel cuore e ciò che più mi ha colpito quando ho guardato un video nel quale delle persone, a Selargius, piantavano gli ulivi, è stato il clima di felicità. Difendere la nostra terra dovrà essere una festa e non una lotta fatta da arrabbiati; una festa alla quale dovranno partecipare anche i bambini, come ribadirò più sotto.

Volendo scendere sempre più nei dettagli: tutti, tutti, i cittadini dei paesi i cui territori sono destinati alle pale, dovrebbero presidiare fisicamente (coi propri corpi, coi loro trattori, con masserizie varie) quelle aree, a mo’ di una vera e propria nuova “Pratobello”. Adulti, anziani, giovani, bambini… tutti dovrebbero attendarsi lì, non di sabato ma da lunedì a lunedì, giorno e notte, per sensibilizzare fattivamente coloro che conducono i camion, con i loro carichi di materiali utili agli innalzamenti e alle distruzioni, a fermarsi. Fermarsi! Si tratterebbe di creare una vera tendopoli, spostando in campagna una gran parte del paese per un mese, due, dieci. Reitero che, è mia convinzione, anche i bambini dovrebbero partecipare, magari accompagnati dagli insegnanti; immagino, addirittura, una scuola nelle tende allestite in campagna. I bambini possiedono una perspicace capacità che li abilita a capire perfettamente – attraverso il loro linguaggio – cosa significhi tutela del territorio. Sarebbe per loro un’esperienza educativa immensa vedere i propri genitori, fratelli maggiori, nonni, cugini, zii, compagni, vicini di casa… difendere la loro terra, la loro casa in toni felici ma decisi e rigorosamente non violenti, perché la violenza di ogni tipo, anche fosse solo verbale, inficerebbe tutto. Dunque, solo azioni decise ma educate; questo sarebbe un solido bagaglio di coscienza civica e un meraviglioso ricordo quando saranno adulti!

Quanto detto per i paesi può essere perfettamente esteso alle città, nei porti delle quali arrivano i pezzi d’assemblaggio. In alcuni porti, fino a qualche giorno fa, erano già presenti presidi composti da coraggiosi cittadini che stavano dando un esempio di altissimo senso civico. Ad essi si sarebbe dovuta aggiungere e dovrebbe aggiungersi – perché no? – la città intera: un’intera città che circonda il porto di senso civico-fisico per impedire l’ingresso della barbarie mascherata da “futuro pulito”.

Riconosco che azioni del genere non equivalgono a una passeggiata facile. Per questo motivo andrebbero portate avanti in forma rigorosamente collettiva e ad oltranza. Ciò implicherebbe certamente rischi e sofferenze; ma, quando la posta in gioco è alta, i rischi e le sofferenze vanno messi in conto. Pretendere di salvare la propria casa dalle devastazioni dei potenti senza rischiare il tutto e per tutto, senza scomodarsi… è pura illusione. Sarebbe corretto che anche i giovani imparassero ad accogliere la sofferenza e il rischio quale prezzo per la difesa della dignità individuale e collettiva. Infatti, sarà una nuova “Pratobello” solo quando si metteranno in prima linea tutti i paesi e tutte le città con tutti i loro abitanti.

Una rappresentanza di coraggiosi, come fino ad ora accaduto, non basta, anche se il loro esempio è enorme. Solo se tutto il popolo scenderà in campo ci saranno risultati concreti. Un piccolo nucleo di persone, un semplice presidio può essere schiacciato, minacciato; non così un intero paese, un’intera città… un intero popolo.

L’affluenza delle piantine a Selargius da diverse parti, per analogia, ha suggerito che le azioni di difesa dei vari paesi nei termini di cui sopra, andrebbe fatta in coordinamento con tutti i comuni dell’isola, affinché le azioni locali non rimangano fatti isolati, ma inquadrati in una regia solidale che includa tutta Ichnusa.

Sì, questo io penso andrebbe fatto, stare lì ad oltranza, a costo di mangiare pane e cipolla, a costo di essere minacciati da tutti i lati e in tutti i modi, ma stare lì, per dimostrare “coi nostri corpi e con le nostre anime felici” che la nostra terra è casa nostra, che essa è quella parte del pianeta affidata alle nostre cure e perciò va rispettata. Di più, proprio perché casa nostra, noi possiamo sederci sopra ad essa senza che nessuno accampi il diritto di spostarci. Solo consapevoli di questo potremo tutelare il nostro suolo, perché, come già ho detto, nessuno può spostare un popolo intero felicemente seduto sulla propria terra.

 

Ignazio Piano.

 

 

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