di Paola Marrone

Al teatro di Sinnai, l’Università della Terza Età ha organizzato una serata di cultura sarda e, con la regia del professor Carmelo Atzeni, la Compagnia Teatrale “Maria Mercedes Serreli” ha portato in scena la commedia “Filla Mia de Continenti” del maestro Antonio Contu, un’opera lontana dalla spocchia di componimenti altisonanti ma che al meglio esprime il valore del patrimonio culturale della lingua sarda.

Sul palcoscenico si alternano personaggi che, tra battute esilaranti dei personaggi popolani ed espressioni riflessive, lanciano alla platea una lezione importante, un saggio monito a non rinunciare al bene prezioso della tradizione culturale linguistica, schietta e sincera, su connotu, per idolatrare un idioma che non appartiene al proprio patrimonio linguistico e, piuttosto, invitando ad attingere linfa dalla propria terra e dalle tradizioni espressive autoctone.

La trama della commedia è semplice quanto concreta: un ragazzo sardo di paese, Corrado, si trasferisce in continente per studiare all’università; un’esperienza che, ahinoi, molti ragazzi vivono ai nostri giorni per cercare lavoro.

Domenica e Albino sono una coppia di signori sardi dediti alla campagna e alla casa che fanno sacrifici per permettere al figlio di laurearsi lontano da casa. Da una lettera spedita dal figlio Corrado, letta dal parroco perché né Albino né Domenica saprebbero leggerla, la coppia viene a conoscenza del suo fidanzamento con una ragazza di famiglia aristocratica. Nella missiva il figlio raccomanda ai genitori di studiare l’italiano in vista dell’incontro con la futura nuora, imbarazzato dal fatto che i genitori possano essere giudicati illetterati e non all’altezza del ceto sociale della futura sposa.

Durante il suo sviluppo, la commedia mostra la tipica generosità della gente sarda, accogliente e premurosa nei semplici gesti della condivisione di ciò che possono offrire attingendo direttamente dalla dispensa.

L’equivoco si sviluppa e si consuma all’arrivo di una professoressa continentale che chiede al parroco ospitalità presso una famiglia del posto.

L’insegnante, alla fine, si rileverà essere la fidanzata del figlio che, lungi dal pretendere raffinatezza dai futuri suoceri, redarguisce veementemente il futuro sposo riguardo il suo preconcetto negativo verso la cultura e la lingua sarda, ricchezza inestimabile di un popolo orgoglioso delle proprie origini.

Eccellente la recitazione degli attori che, al meglio, hanno espresso le caratteristiche del popolo sardo tutto: cordialità, amicizia, accoglienza e generosità. Piacevolissime le giocose battute in vernacolo, garbate ma, allo stesso tempo, colorite e gioiose.

Perdere la lingua a discapito di una lingua globale senza identità è sacrilega rinuncia al proprio patrimonio identitario, di cui sono ben consapevoli i protagonisti, orgogliosi del proprio vissuto e depositari di una ricchezza intrinseca di valori da custodire gelosamente e da ostentare anche a chi, da altre realtà culturali, si avvicina al mondo della lingua sarda.

 

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