di Maria Antonietta Pirrigheddu – Coordinamento Gallura contro la speculazione eolica e fotovoltaica

Qual è la prima accusa che vi viene mossa quando provate a contrastare la speculazione energetica in atto?

Sempre la stessa: «Allora volete continuare a inquinare col carbone e il petrolio!»

È il solito ritornello di chi è rimasto indietro anni luce e non ha idea di cosa stia succedendo davvero. Però è necessario saper rispondere, anche se certe ideologie non verranno abbattute nemmeno a colpi di cannone.

La parola magica è DECARBONIZZAZIONE.

Che significa?

La decarbonizzazione è l’obiettivo che si è data l’Unione Europea per il 2050: arrivare ad emissioni zero in tutto il continente europeo. Ossia niente uso di combustibili fossili nel giro di 25 anni.

Poco importa se, ammesso e non concesso che si possa fare, sarebbe solo una piccola goccia nel mare: arriveremmo ad un 7% o poco più di territori “decarbonizzati” sul pianeta. Poco importa se intanto in Cina viene aperta una nuova centrale a carbone ogni due o tre giorni. Poco importa se, mentre noi ci sforziamo di frenare le emissioni, le stesse persone che ci impongono la “transizione verde” rendono tutto vano continuando ad inquinare coi loro jet personali e, soprattutto, con bombe e missili ed esercitazioni militari.

Sia quel che sia, gradatamente la decarbonizzazione deve procedere. Si andrà per tappe.

Così, è stato stabilito che, per il 2030, la produzione di energia da combustibili fossili negli Stati europei non debba superare la soglia del 35%: il resto va prodotta con le cosiddette rinnovabili, ovvero sole e vento.

In realtà, tra le rinnovabili dovremmo includere anche l’idroelettrico, cioè l’energia prodotta dall’acqua; ma questo stranamente è sparito dai programmi della Regione Sardegna appena si è conclusa la campagna elettorale. Sulle nostre acque, infatti, vorrebbe mettere le mani qualche multinazionale spagnola, stracciando il referendum di qualche anno fa dove si decise, a furor di popolo, che l’acqua è un bene comune e non si può privatizzare. Invece quella dell’acqua sarà purtroppo la nostra prossima battaglia.

Per rendere possibile la famigerata transizione energetica, è stato deciso che l’Italia debba installare su tutto il suolo nazionale, entro il 2030, impianti da energia rinnovabile per una potenza di 75-80 Gigawatt.

L’Italia, a sua volta, ha suddiviso questa quota tra le sue 20 Regioni. E, naturalmente, l’ha assegnata quasi tutta al Sud, caricando la Sardegna addirittura di 6,28 Gigawatt ulteriori. In base a quale criterio non è dato sapere. La Toscana e il Lazio, ad esempio, molto più popolati ed energivori della Sardegna, dovranno installare poco più di 4 Gigawatt a testa.

Ma così ha sentenziato il ministro Pichetto Fratin, e a noi non è passato nemmeno per la testa di contestarlo. Anzi, abbiamo accettato a capo chino l’ingiustizia spacciandola per “una grande vittoria”. Che cosa abbiamo vinto non si sa. Ci saremmo potuti opporre entro il 21 agosto scorso, ma abbiamo evitato accuratamente di farlo.

La cosa peggiore, però, è che questi 6,28 Gigawatt costituiscono solo una soglia MINIMA: in realtà, questa quota può essere estesa all’infinito. L’onorevole Li Gioi ha cercato di confortarci dicendoci che lui ha “la sensazione” che non la supereremo… Ma le sensazioni, se non sono scritte nero su bianco, valgono zero. Proprio come tutte le altre onorevoli dichiarazioni che si stanno susseguendo in questi mesi e che, ogni volta, si trasformano nell’esatto contrario.

Ma torniamo al sogno della decarbonizzazione.

Nel 2014 il governo italiano ha stanziato notevoli somme per convertire QUASI tutte le sue 7 centrali fossili in impianti ecosostenibili. Quelle che non verranno convertite saranno spente entro il 2025. Perché diciamo “quasi”? Perché ci sono due eccezioni. E indovinate un po’ quali saranno gli impianti “sporchi” che non verranno chiusi?  Esatto, le due centrali a carbone che sono in Sardegna. Le centrali di Porto Torres e di Porto Vesme resteranno attive ancora per diversi anni (alcuni dicono addirittura una quindicina). Tutt’al più, forse, chissà quando, verranno convertite nel frattempo ad un altro tipo di fossile meno inquinante, probabilmente gas. Le inquinantissime raffinerie della Saras invece, che stanno in Sardegna ma non sono sarde, non vengono prese nemmeno in considerazione [https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2024/03/06/pichetto-uscita-dal-carbone-nel-2025-tranne-in-sardegna_dc29e52f-8d1a-4df4-b572-bc7ffcf0a8c4.html].

Come mai?

Il motivo è semplice: le energie rinnovabili non sono stabili. Il vento soffia quando vuole; il sole sparisce ogni notte e d’inverno è debole. Paradossalmente, quando il vento è forte le pale eoliche devono fermarsi, altrimenti andrebbero a fuoco. Perciò, per garantire la stabilità della rete italiana saranno ancora indispensabili le centrali a combustibili fossili per diversi anni. E, naturalmente, viene sacrificata la Sardegna, nonostante molta energia si perda per strada a causa del trasporto.

Perciò veniamo COSTRETTI a tenere aperte le nostre centrali a carbone, che da sempre costituiscono una delle nostre servitù verso lo Stato italiano, col risultato di sentirci dire che siamo sporchi, brutti e cattivi e che non vogliamo la transizione “verde”. E, come sostengono la Nuova Sardegna e altri giornali di grido come l’Avvenire, che siamo la regione più inquinata d’Italia. Strano che ancora i turisti vengano qui a respirare aria buona, invece di farsi le vacanze in Pianura Padana!

Ma l’energia prodotta da fonti rinnovabili potrebbe essere accumulata e conservata, dice qualcuno…

In realtà, accumulare questo tipo di energia non è semplice e, soprattutto, è dispendioso. Per le batterie di accumulo è necessaria una gran quantità di materie rare – ad esempio litio, cobalto, nichel, cadmio – per estrarre le quali si inquinano irreversibilmente interi territori. Non ci facciamo problemi perché tanto le estraiamo in Africa, quindi chi se ne accorge?

Ce ne accorgeremo quando entreranno in vigore i nuovi decreti ministeriali, che impongono alla Sardegna l’apertura di numerose miniere a cielo aperto proprio per estrarre questi elementi (e altri che servono alla costruzione di pale e pannelli).

Ma, siccome non ci facciamo mai male abbastanza, la Regione Sardegna sta riesumando un antico progetto che, se poteva avere un senso dieci o venti anni fa, ora appare del tutto anacronistico: la dorsale del gas. Chiediamoci: se dobbiamo cessare la produzione di energia fossile entro pochi anni, che senso ha spendere miliardi per un ciclopico impianto a gas che dovrà essere chiuso a breve?
Non la pensa così il nostro assessore all’industria Emanuele Cani, che a luglio «ha confermato la volontà della Giunta di procedere con il piano di metanizzazione per il quale è in corso una trattativa con il governo nazionale» [https://ilmanifesto.it/lunga-vita-alle-centrali-fossili-non-chiuderanno-piu-nel-2025].

Insomma, a che gioco stiamo giocando?

Ma siamo certi che almeno per il 2028 le centrali a carbone sarde potranno finalmente essere chiuse?

No, affatto. Leggiamo ad esempio cosa riportava Il Sole24Ore il 24 agosto scorso:
«Nell’isola, per arrivare al definitivo spegnimento, saranno necessarie alcune condizioni garantite dal combinato disposto di ulteriore sviluppo di rinnovabili, accumuli e due nuove interconnessioni di Terna con il Continente come il Tyrrhenian Link, il doppio collegamento tra Sicilia, Sardegna e penisola, nonché il Sacoi 3 (…). Soltanto a valle di questi tasselli saranno assicurate le condizioni tecniche di sicurezza della rete necessarie a completare l’abbandono del carbone…» [https://www.ilsole24ore.com/art/carbone-l-italia-accelera-spegnimento-centrali-AFu3dwUD?refresh_ce=1].

La chiusura delle nostre centrali a carbone, quindi, scivola ALMENO al 2028. Ma, nel frattempo, quanto sarà andata avanti la tecnologia? Quali impianti meno impattanti di quelli attuali avremo a disposizione per allora? Siamo sicuri che la cosa più ecologica, nel frattempo, sia distruggerci terra e mare con torri ciclopiche e distese di pannelli roventi sul suolo verde?

Ma c’è di peggio. Probabilmente non saranno solo le centrali fossili della Sardegna a rimanere in funzione ancora per moltissimi anni. C’è qualcuno, infatti, interessato ad acquisirle (a prezzi stracciati) e a tenerle aperte. Si tratta di BlackRock, il colosso americano che ha le mani in pasta praticamente dappertutto. Le centrali italiane in dismissione gli servono per alimentare gli enormi database necessari allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. Database che verranno poi affittati ad aziende come Microsoft, Google, Amazon ecc.

Con la benedizione della premier Giorgia Meloni, Enel sta dunque trattando la svendita dei nostri impianti a carbone che, anziché cessare la loro funzione o essere riconvertiti, verranno utilizzati dagli americani. Molto più convenienti e produttive degli impianti a energia rinnovabile, con le nostre vecchie centrali BlackRock si garantisce la stabilità della SUA rete e una enorme produzione di energia a basso costo, perfetta per l’IA [https://it.insideover.com/economia/laccordo-blackrock-enel-che-americanizza-la-transizione-green-italiana.html].

Quindi la cosiddetta transizione si risolverà nell’ennesima, colossale truffa ai danni del popolo sardo. Come giustificheranno queste trattative, che gettano alle ortiche ogni buona intenzione dichiarata, non è dato sapere. Forse confidano nel fatto che, come la rana nell’acqua calda, piano piano ci possono abituare a tutto.

Ecco, tutte queste cosette spiegatele a chi vi accusa di voler “restare col carbone”.

Spiegatele alla presidente Todde, che non perde occasione per dire che il popolo sardo è ignorante, manovrabile, violento, pauroso.

La vera ignoranza non sta nel rifiuto del cosiddetto progresso, ma nel non avere la minima idea di cosa stia realmente accadendo, e non solo a danno dei Sardi. La nostra non è paura, ma presa di coscienza del fatto che qualcuno, come sempre e più di sempre, sta lucrando alle nostre spalle ed è disposto a spogliarci di tutto per moltiplicare il proprio capitale.

Qualcuno, convinto della nostra tendenza ad accettare ogni tipo di servitù, ha deciso di venderci al miglior offerente. Ma forse stavolta ha sbagliato i conti.

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