Comunicato Stampa del Comitato Sarcidano Difesa Territoriale.
Abbiamo assistito con amarezza e sgomento all’ampio servizio sulla transizione energetica in Sardegna
trasmesso Domenica 23 marzo su Raitre durante la trasmissione Presa Diretta.
Il nostro Comitato ritiene che stia emergendo in seno alla stampa “nazionale” una narrazione tendenziale,
pretestuosa, incompleta e viziata da una visione neo-coloniale, assolutamente sprezzante del diritto
all’autodeterminazione del nostro Popolo.
Il primo aspetto che dobbiamo doverosamente sottolineare è che i Comitati sono nati spontaneamente nei
territori interessati dai progetti e non sulla scia di una narrazione mediatica tossica.
In Sardegna si è creata una situazione in cui vi è un’inflazione spaventosa di proposte progettuali e, allo
stato attuale, non è dato sapere ai sardi quali e quanti di questi progetti saranno realizzati.
Le nostre comunità sono rimaste semplicemente sbigottite dalle caratteristiche oggettive di questi progetti
i quali, nella loro generalità, non hanno tenuto minimamente conto delle caratteristiche del territorio, delle
sue vocazioni, delle condizioni della rete elettrica locale, delle attività economiche preesistenti e delle
emergenze archeologiche presenti.
La Sardegna possiede una ruralità geologicamente e paesaggisticamente unica, caratterizzata dalla più alta
densità di siti archeologici al Mondo, ma ciò sembra non preoccupare minimamente gli autori del
programma.
Sul confronto con la Cina: oggi la Repubblica Popolare, in base ai propri consumi, produce il 36% di
elettricità da FER, mentre la Sardegna ne produce oltre il 43%, ma questo dato elementare è stato omesso,
mostrando la Cina come realtà moderna e virtuosa e la Sardegna come “cenerentola” delle rinnovabili,
avvolta dalla nebbia del pregiudizio e dell’ignoranza.
La Sardegna, infatti, non è il deserto delle rinnovabili. Tutt’altro. Produce, infatti, quasi 2000 GWh
attraverso più di 1200 torri eoliche, un contributo ampio e significativo. Altri 1400 GWh derivano dal
fotovoltaico, mentre quasi 300 dall’idroelettrico. Un sacrificio del nostro territorio che, diversamente da
quanto sostenuto nel servizio, non ha finora causato quel miracolo occupazionale che si millanta.
Anche il confronto con la situazione pugliese, subito seguito alla descrizione paternalistica di una Sardegna
schiava della menzogna e impermeabile alla modernità, non coglie il reale sforzo fatto finora dall’Isola per
ridurre le emissioni sulla base dei propri consumi: la quota di energia green prodotta per ogni pugliese non
è infatti dissimile da quella prodotta per ogni sardo, differenziandosi per soli 327 kwh pro capite.
Ma gli sforzi fatti finora dalla Sardegna in termini di produzione percentuale da fonti rinnovabili in base ai
propri consumi, emergono in tutta la loro portata se facciamo un confronto con le Regioni energivore del
Centro-Nord: la Lombardia non raggiunge il 20% di produzione FER rispetto ai propri consumi, percentuale
superata di poco da Veneto ed Emilia Romagna.
Tra le grandi Regioni popolose, solo il Piemonte e la
Toscana superano il 30%, ma non di certo grazie agli impianti eolici o fotovoltaici. La prima può contare su
una vasta produzione idroelettrica, mentre la seconda ha l’unicum italiano del geotermico (dati Terna
2022).
É vero che la Sardegna ospita due centrali a carbone e una gigantesca raffineria che produce energia
attraverso gli scarti della lavorazione, ma questo non è stato il frutto di un processo storico decisionale,
democratico e capillare, piuttosto della vecchia imposizione centralista nazionale, a causa della quale la Sardegna
ha pagato un caro prezzo in termini ambientali e sanitari.
Una forma di centralismo impositivo che secondo gli autori della trasmissione ora andrebbe riproposta con
le rinnovabili, estromettendo e ridimensionando le Istituzioni regionali e locali, e umiliando le nostre
prerogative autonomistiche.
Abbiamo notato con piacere che nel servizio si cita la proposta di legge di iniziativa popolare Pratobello 24,
sottoscritta da oltre 210.000 sardi, frutto di un percorso di democrazia partecipata senza eguali in Italia e
non solo, ma Presa Diretta ha evitato accuratamente di chiarirne i contenuti e di chiamare in causa i
Comitati promotori.
Se ciò fosse accaduto, avremmo potuto spiegare che i nostri Comitati non sono contrari alla transizione
energetica, che ritengono invece necessaria e opportuna. Ciò che ci differenzia dagli speculatori è la
modalità: loro vorrebbero industrializzare massivamente la nostra ruralità, con il solo scopo del guadagno
rapido e dell’incasso degli incentivi; noi vogliamo pannellizzare democraticamente le superfici già
cementificate, bitumizzate e impermeabilizzate, a esclusivo vantaggio delle famiglie sarde e delle nostre
attività economiche. Loro vorrebbero “rubare” a basso costo il nostro vento e il nostro sole per esportare
l’energia prodotta verso il Centro-Nord energivoro.
Noi, in ossequio a tutta la letteratura normativa pre-Draghi, vogliamo raggiungere gli obbiettivi Europei per
la transizione al 2030, calibrandola sulla base delle nostre peculiarità paesaggistiche e sulle nostre necessità
di consumo.
Per raggiungere questo obbiettivo alla Sardegna basterebbe installare 2,5GW da fonte rinnovabile, cosa che
possiamo fare senza aprire le porte alle multinazionali, senza distruggere il paesaggio, senza consumare
ulteriore suolo fertile.
Quando la Sardegna sarà padrona del processo, e sarà chiaro ai sardi quanto vantaggiosa sia una
transizione democratica anti speculativa, forse potremo fare anche qualcosa di più, ma solo alle nostre
condizioni e attraverso processi decisionali trasparenti e partecipati.
Abbiamo sempre sognato la transizione energetica ed ecologica come un grande processo complessivo di
innovazione democratica e tecnologica. Ci troviamo invece davanti ad un incubo distopico nel quale la
Sardegna rischia di diventare il Delta del Niger dell’energia eolica e solare.
Non accetteremo mai, dunque, il sottinteso che ha segnato dall’inizio alla fine il “reportage” di Presa
Diretta, e cioè che il popolo sardo è un popolo privo di discernimento, incapace di valutare gli impatti
negativi dei progetti sui territori in cui vivono, ingannato dalle fake news e avvezzo ad atti vandalici.
Non accettiamo di essere dipinti come gli “indigeni” ignari della propria ricchezza, che vivono in una tabula
rasa da elettrificare, ricca di territori “abbandonati” che aspettano l’arrivo di chi saprà finalmente
valorizzarli.
Si ricordino gli “amici” di Presa Diretta che quelle terre sono le nostre, vi affonda le sue radici un popolo
antico che merita rispetto, e che se sarà lasciato libero di decidere senza ulteriori vessazioni, saprà
raggiungere gli obbiettivi auspicati senza traumi, contribuendo per propria parte, e sulla base dei propri
consumi, ad una trasformazione necessaria che noi pretendiamo sia però anche giusta.
@tutti