di Ingrid Atzei

È il 2050 e un viaggiatore a zonzo tra gli spazi antigravitazionali volta lo sguardo verso un globo grigiolino che percorre stanco la propria orbita ellittica. Incuriosito, il viaggiatore decide di farsi risucchiare dalla forza gravitazionale del pianeta e, immediatamente, gli strumenti a bordo della sua cruise machine cominciano a bippare allarmati. Il viaggiatore controlla gli strumenti: l’aria del pianeta è povera d’ossigeno, troppo poca la vegetazione presente al suolo e, praticamente, priva di clorofilla. I raggi del sole, poi, sono schermati da polveri metalliche sottili sospese, parrebbe consapevolmente, nell’atmosfera di modo che i giorni si succedano ad un ritmo divenuto imperscrutabile. La cruise machine sorvola prima un’area di continente emerso simile ad uno stivale, staziona un poco sul tacco, si porta davanti alla punta e, infine, raggiunge un’isola a forma di sandalo. Là si ferma ed osserva perplesso. A terra, vaste aree abbandonate nelle quali svettano alti piloni con, in testa, enormi elici; distese di pannelli scuri che fanno ombra sul suolo brullo ed arido, scheletri arrugginiti che ospitano altri pannelli opachi ed altre aree su cui dormono, tetragoni nella forma e grotteschi nell’aspetto, innumerevoli accumulatori in tutto simili a condensatori ad elevata capacità delle vecchie TV di tanto tempo prima, solo molto molto molto più grandi. Una residua popolazione di umanoidi, senza patria e, apparentemente, senza storia, vaga inebetita e zombificata tra ripari di fortuna e, con fare d’accattona, si dispone in fila per ricevere un pugno d’insetti allevati in batteria da apposite Case del verme.

Senza verde neppure gl’insetti pascono più autonomamente in questo mesto suolo, pensa il viaggiatore.

Gli strumenti della cruise machine registrano anche le onde vitali degli umanoidi e l’output che restituiscono non è buono, tutt’altro! I loro sistemi limbici risultano atrofizzati. Il viaggiatore lascia al proprio destino quella specie insignificante e cerca ungulati ruminanti e non, pesci, uccelli, roditori; insomma, un animale interessante basta che sia. Ma nulla; non ne trova.

Per capire cosa sia successo tutt’attorno, attiva un utile optional in dotazione solo per le cruise machine adatte ai viaggi siderali, l’anacrometro, una speciale apparecchiatura che consente unicamente di tornare indietro nel tempo.  E, una volta avviata, il nostro viaggiatore esclama: «Per tutte le galassie spente, ma perché s’è permesso questo?! E chi sono questi strenui guerrieri?» Così legge Comitato Scientifico per l’Insularità in Costituzione. Quella che osserva il viaggiatore è la battaglia che l’anacrometro è riuscito a recuperare da un tempo non lontanissimo in termini di lustri, poco più di cinque, ma che appare distantissimo da allora per le conseguenze che stanno sotto i suoi stessi occhi.

Nello specifico, vede che il Comitato, presieduto dalla professoressa Maria Antonietta Mongiu, visto l’assalto massiccio, massivo, indiscriminato, scellerato e criminale al suolo del bel sandalo, incastonato tra le acque del Mediterraneo, per impiantarci ogni tipo di innovazione funzionale alla produzione di energie da fonti rinnovabili aveva deciso di mettere le cose in chiaro: «La Sardegna non è terra di conquista ma di bellezza archeologica, culturale, paesaggistica e va tutelata dai procacciatori di profitti propri che vorrebbero svuotare l’Isola delle naturali potenzialità economiche, produttive e storiche».

È giusto, pensa il viaggiatore; ma come intendevano riuscirci?

Il Comitato, forte dell’impulso alla valorizzazione e alla tutela dei beni culturali, paesaggio compreso, discendente direttamente dal Codice Urbani, entrato in vigore nel 2004[1], e consapevole della totale assenza, da parte di tutti i portatori d’interesse (Regione ed accaparratori), di un’analisi dell’impatto sul territorio degli impianti destinati alla produzione di energia, intesero lavorare immediatamente alla deliberazione di un decreto legge recante Norme urgenti di provvisoria salvaguardia del paesaggio rurale della Sardegna e per il completamento della pianificazione e la tutela dell’intero territorio Regionale, con ciò intendendo allargare le tutele in capo alle zone costiere, previste dal Piano Paesaggistico Regionale, alle ben 282 differenti tipologie di paesaggio interno.

Interessante, dice tra sé il viaggiatore; ma in concreto come si strutturava l’iniziativa?

L’idea era quella di:

  • far sì che la Giunta Regionale Sarda garantisse, per tre mesi, provvedimenti d’inibizione o di sospensione della trasformazione delle destinazioni d’uso e della costruzione su aree pubbliche e private. In che modo? Applicando su dette trasformazioni, anche se consentite dagli strumenti urbanistici vigenti, le disposizioni previste dall’articolo 14 della Legge Regionale n. 45 del 1989;
  • attivare un Comitato d’indirizzo e coordinamento di tutte le figure competenti in relazione alle materie di cui al piano paesaggistico chiamato Ufficio del Piano;
  • nominare uno specifico Comitato Scientifico.

Perché appena tre mesi di tempo dal Disegno di Legge alla nuova pianificazione? Si chiede ancora il viaggiatore.

Perché, in effetti, spiegano gli esperti ardimentosi, se venissero chiuse tutte le centrali a carbone dell’Isola che producono prevalentemente per l’esportazione – dal momento che solo il 9% del pacchetto di consumo sardo proviene da quella fonte – il resto è già prodotto quasi completamente da energie rinnovabili con 25 anni d’anticipo rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione imposti dall’Unione Europea.

E qui il viaggiatore ha un sussulto! Che senso aveva, pensa, essere tanto in anticipo e vedersi imposti nuovi obblighi? Per quel “quasi” forse?

Ma la risposta gli giunge immediata mentre continua ad ascoltare le parole degli esperti del Comitato.

Infatti, pure quel “quasi” sarebbe compensabile proprio per le caratteristiche intrinseche dell’Isola in termini paesaggistici, essa vantando un patrimonio di foreste collocato al primo posto in Europa e grandi superfici a pascolo in grado di sequestrare le emissioni di CO2. Insomma, basterebbe poco tempo per trovare una propria via equilibrata di compensazione.

Dunque, pensa il viaggiatore, il problema era questa Europa miope, di qualunque cosa si trattasse.

E il viaggiatore ha ragione perché la Sardegna del 2024 si ritrovava imposto di dover produrre da rinnovabili un surplus di oltre 11 volte quello del proprio fabbisogno in danno totale del proprio paesaggio, della propria economia con indotti annessi, del proprio patrimonio storico-archeologico, della propria cultura complessiva e della propria identità. Un’Europa che disponga in termini predatori lo sfruttamento di una realtà multisfaccettata come quella sarda, senza peraltro tenere conto del suo reale posizionamento in termini di emissioni e scavalcando completamente l’articolo 9 della Costituzione italiana che recita:

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione,

alimenta solo un’idea di emungimento senza vincoli, di sfruttamento estrattivo da petrolieri senza scrupoli e rischia di trasformare, secondo l’acuta riflessione dell’Ingegner Giuseppe Biggio, membro del Comitato Scientifico per l’Insularità in Costituzione, l’antica Sandalia in una ciabatta consunta.

Ora, il viaggiatore, senza nemmeno esser mai sceso dalla sua cruise machine riprende quota facendo un’unica considerazione prima di re-immergersi negli spazi interstellari: «Cara Sandalia, dovevi essere una bella terra davvero; ma se i figli tuoi e i loro amici e gli amici dei loro amici e gli amici degli amici dei loro amici hanno lasciato che ti riducessero così come ti trovo non ti hanno amata abbastanza e ben gli sta se vivono come ombre di redivivi».

Dunque, Sardi e non Sardi, ché tanto, prima o poi, in un modo o nell’altro, stessa sorte grama tocca a tutti con ‘sta novità del perseguire (l’anti)green, informiamoci seriamente sulle reali esigenze di decarbonizzazione dei nostri territori, sulle fonti rinnovabili realmente fruibili e sulle compensazioni possibili attraverso le differenti peculiarità dei nostri territori e facciamo squadra per dire no alla devastazione indiscriminata delle nostre terre che è un tentativo di cancellare quello che siamo realmente cambiando le nostre economie, i nostri spazi, la nostra capacità di produrre materie prime e di allevare animali sani e non stressati, di depauperare il valore dei nostri siti archeologici e, quindi, delle nostre identità. Con l’aggravante che tutti ‘sti impianti vanno incontro ad un’obsolescenza senza ritorno che non può essere smaltita e, una volta impiantati, sono già, in un’ottica futura, enormi discariche, veleno per le terre e per tutte le forme di vita.

Proteggiamo noi stessi e la nostra identità dai profittatori di turno; possiamo farlo in punta di Diritto e dobbiamo farlo!

[1] Di natura preminente rispetto al cosiddetto Decreto Draghi, con il quale nel 2022 s’intese favorire il proliferare degli impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili.

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