di Alessio Canu
Siamo in una fase statica del confronto sulla Pratobello ‘24. Nella scorsa settimana in diversi abbiamo denunciato la stasi legata alla verifica delle firme per la sua presentazione; in diversi hanno minacciato una nuova manifestazione nel caso i tempi si fossero prolungati con le più diverse giustificazioni, in primis la possibilità che con il Bilancio tutta la discussione legata alla Pratobello ‘24 slittasse al 2025 (con ringraziamenti annessi degli speculatori energetici).
Una prima notizia (anche se in pesante ritardo rispetto alle tempistiche comunicate) ci giunge comunque giovedì 17 ottobre: il Presidente del Consiglio Regionale, Giampietro Comandini, ha comunicato la fine della fase di conteggio e la convalida delle 10.000 firme necessarie alla presentazione del Progetto di Legge Popolare (https://www.unionesarda.it/news-sardegna/pratobello-24-comandini-il-consiglio-ha-concluso-la-verifica-delle-firme-jdkgfm0c). Ora si passa alla compilazione del documento da proporre e trasmettere ai presidenti delle Commissioni Competenti. Niente procedure d’urgenza: a inizio settembre era stata avversata tale possibilità. Ricordiamocene ai prossimi appuntamenti elettorali, quando si presenteranno a richiedere i voti soggetti delle stesse aree responsabili di questo passaggio e che hanno bollato i “Pratobelli” come violenti, deviati o eterodiretti.
A questo punto, quello che i Comitati devono pretendere è che venga reso pubblico il testo che verrà presentato alle Commissioni e le tempistiche di questo passaggio. Non saranno tollerate ulteriori dilazioni, né tantomeno ritardi. Il rischio che con la discussione sul Bilancio tutto slitti al 2025 rimane; perciò la pressione dei Comitati deve rimanere alta.
Non solo, la pressione deve rimanere alta perché nelle ultime settimane il dibattito sulla transizione energetica e sulla speculazione ha aperto un vaso di Pandora grande e troppo importante per la Sardegna. A cosa mi riferisco? Mi riferisco al fatto che nella politica e nella società sarda si stanno affrontando due concezioni opposte di quello che vogliamo diventare:
- da un lato, figure e partiti che non hanno fiatato riguardo le direttive nazionali e i relativi decreti degli ultimi due-tre anni contro i quali nessuno (salvo poche eccezioni) ha opposto delle valide misure per arginare lo scempio che si andava configurando. Costoro, anzi, legati alle dirigenze nazionali, ancora oggi approvano acriticamente il modello energetico e speculativo che si vorrebbe imporre;
- dall’altro lato, un fronte che punta ad un modello dal basso e che cerca di affrontare in contemporanea più discorsi: ambientale, sociale, economico, demografico e di attribuzione di competenze in più ambiti. È un compito complesso, ma che va ricercato, perché la questione energetica è un modello esemplificativo di ciò che dobbiamo migliorare in tutti gli altri ambiti, dai trasporti all’economia e alla sanità.
Combattere la speculazione energetica significa anche dare un esempio per altre lotte da dover portare avanti in merito a trasporti migliori per passeggeri e merci, maggior sostegno alle nostre comunità e alle nostre economie, maggior tutela della nostra sanità. Ma tutto questo lo si può fare se si ha una buona base economica; il che significa che dobbiamo gestire la transizione energetica con le nostre regole e per i nostri obiettivi, i quali si traducono in introiti che si possono usare per la Sardegna e per i Sardi (non per fondi o multinazionali di qualche ottuagenario che si gode la ventesima villa con campo da golf annesso). Il tutto nel rispetto del nostro ambiente, che spesso ha dovuto subire le ferite di uno sviluppo a vantaggio effimero, poi trasformatosi in ulteriore fattore di svantaggio per le nostre terre.
Ne è una dimostrazione il fatto che dei tanti progetti di “sviluppo” che negli ultimi settant’anni hanno martoriato la Sardegna, tutti hanno una caratteristica comune: aver portato pochi vantaggi limitati a brevissimi periodi, per poi lasciare vere e proprie cattedrali nel deserto, se non deserto e basta, oltre all’inquinamento che ha rovinato irrimediabilmente i territori coinvolti (https://www.unionesarda.it/news-sardegna/zone-industriali-e-vecchie-miniere-in-sardegna-migliaia-di-ettari-contaminati-niente-bonifiche-soarxpd5). Territori che non sono più stati bonificati – caratteristica molto italiana di non riportare le zone degradate allo stato originario – complice la mancanza di controlli seri e una politica che troppe volte ha deciso di girare altrove il proprio sguardo.