Di Sarah Demelas
A pochi chilometri dalle incontaminate spiagge di Chia, al di sopra dei Comuni di Teulada, Domus De Maria, Pula, Villa San Pietro e Sarroch, sorge la foresta di lecci più vasta d’Europa, chiamata foresta de Is Cannoneris. La montagna lussureggiante che sovrasta la costa sud ovest della Sardegna è meta turistica di forte richiamo per le sue bellezze floro-faunistiche. La foresta demaniale è compresa per intero tra le aree che riguardano la proposta di istituzione del parco naturale del Sulcis, in quanto esteso areale occidentale del cervo sardo. Il cervo sardo fu reintrodotto in Sardegna negli anni ‘80 dopo aver rischiato l’estinzione a causa della caccia, del bracconaggio e della perdita di habitat e quest’area fu ritenuta idonea a ospitare il cervo, per le sue qualità ambientali di salubrità. Tuttavia la specie è da considerarsi ancora a rischio, infatti un fattore di minaccia è rappresentato dall’assenza di corridoi di collegamento tra le diverse foreste isolane destinate all’incontro fra individui appartenenti a popolazioni distanti tra loro.
Negli ultimi anni i cervi, specie durante l’estate, al crepuscolo discendono lungo le valli, rasentando i piccoli borghi abitati di Domus De Maria, Pula, Villa San Pietro, Sarroch. C’è da chiedersi quali possano essere le cause di questo comportamento, che diversamente li vedrebbe schivi e protetti nel fitto del bosco. Alla base della questione ci potrebbero essere molteplici fattori: per prima cosa verrebbe da pensare a spostamenti legati alla ricerca di cibo e di fonti d’acqua, questo come conseguenza diretta delle ultime annate siccitose che hanno visto coinvolta l’area. Sarebbe invece da escludere l’idea di uno sviluppo che porti verso il sovrannumero dal momento che l’agenzia regionale Forestas ne definisce ancora lo status di conservazione come specie vulnerabile a livello regionale, nazionale, europeo finanche mondiale.
È plausibile collegare la causa a fattori di disturbo esogeni presenti sul territorio: la presenza del poligono militare di Capo Teulada, utilizzato più volte all’anno per esercitazioni congiunte in ambito NATO, è certamente un motivo di panico per la fauna selvatica, sottoposta ad uno stresso acustico che ben conoscono gli abitanti dei paesi limitrofi.
Questa sensazione di pericolo, scatenata dal frastuono dei bombardamenti delle simulazioni di guerra, potrebbe portare gli animali a fuggire dal bosco per raggiungere aree antropizzate.
È stato inoltre ampiamente dimostrato quanto l’area risenta di contaminazioni inquinanti non solo di tipo acustico. Data la difficoltà a dimostrare la correlazione tra le armi utilizzate (si pensi a quelle che prevedono il decadimento radioattivo del più banale Uranio, fino ad arrivare alla potenza del Thorio, con conseguenti sviluppi di nanoparticelle) e i relativi danni provocati alla salute umana (con conseguenti numeri esponenziali di patologie tumorali), non stupisce quanto la tutela del patrimonio naturale, in un simile contesto passi in secondo piano. Sarebbe necessario aver chiaro in mente il concetto di devastazione provocato nell’ambiente dal costante attacco bellico, che riproduce su piccola scala le attuali dinamiche osservabili in tutte le aree di guerra in atto sul pianeta. Essere colonia NATO comporta dei rischi davvero spropositati, ma pochi stipendi ai militari e piccoli oboli per il fermo pesca sembrano essere sufficienti a placare il diritto di esistere delle genti presenti sul territorio e a promuovere la spinta all’estinzione della specie umana oltre che a quella faunistica in questo angolo di mondo.
Ritornando al fenomeno di avvicinamento animale alle aree antropizzate, è auspicabile arginare la problematica più a monte, magari attraverso la manutenzione dei punti di ristoro e abbeveramento e prevedendo reti di recinzione lungo il perimetro dell’area in cui le creature del bosco devono vivere.
Inoltre, riversandosi in branco lungo la strada statale 195, i cervi possono costituire un pericolo per gli automobilisti e sarebbe opportuno prevenire, anziché adottare misure emergenziali successive, che andrebbero a discapito degli animali.
Il cervo è da sempre emblema di mitezza, capace di suscitare nell’osservatore sentimenti di tenerezza, e volendo andare più indietro nei tempi il cervo è sempre stato soggetto prediletto dei nostri antenati, prezioso testimone adornante le pareti rupestri di diversi siti archeologici.
Protomi di cervi ornano navicelle nuragiche dell’VIII – VI sec. a.C. e spade votive della stessa epoca, con stilizzate figure di cervo, venivano offerte alle divinità. Continui l’uomo a essere promotore di bellezza e a preservare la vita sul pianeta, non si incarni più il moto “homo hominis lupus”!