di Claudia Bassareo
Nessuno se lo augura mai, ma succede, a volte, di dover avere a che fare con i medici e le strutture sanitarie e di trovarsi “incastrati” nelle maglie degli ingranaggi della sanità, con risvolti paradossali.
Così accade, e chi scrive ne ha fatto personale esperienza, che al proprio padre ottantaquattrenne, già operato per una malattia “vera”, sia categoricamente raccomandato di fare un intervento chirurgico demolitivo, per “l’alto rischio” – nei cinque anni successivi – di sviluppare una patologia tumorale.
Ciò senza nemmeno l’eventualità di ulteriori accertamenti, che diano evidenze di quanto “soltanto” ipotizzato per un futuro imprecisato e sulla base di un rischio che, per quanto elevato, sempre di rischio si tratta e quindi rimane avvolto da un’alea di incertezza e incognita. Il diktat è solo “operare senza indugio”!
Così si scopre che il consiglio, declinato in verità più come una imposizione, è frutto dell’applicazione di Linee guida adottate in ambito sanitario che costituiscono il Vademecum di ogni bravo medico.
Che l’intervento “risolutivo” di un rischio, le cui probabilità di verificarsi solo Dio conosce, ha una percentuale bassissima di sopravvivenza nell’anno successivo all’operazione chirurgica, per pazienti ben più giovani.
Che le peculiarità del caso concreto, tra cui, la più importante di tutte l’età avanzata, che ben fa sperare, anche a chi non è del mestiere, che le probabilità dell’evento siano ridotte per la lenta evoluzione di qualsiasi patologia, non sono nemmeno considerate.
Da ultimo, “ciliegina sulla torta”, si viene a sapere che c’è un reparto nuovo di zecca che cerca “clienti”, per giustificare la sua stessa esistenza, a scapito di altre strutture contestualmente ridimensionate, se non addirittura soppresse, in ambito ospedaliero.
Ora, le Linee guida, secondo il Ministero della Salute, sono raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni degli esperti, con lo scopo di aiutare i medici a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche.
La loro finalità è di ridurre la variabilità della pratica clinica e di migliorare gli esiti della salute. Costituiscono uno strumento di supporto decisionale, finalizzato a consentire che, fra più alternative, sia adottata quella che offre un migliore bilanciamento tra benefici ed effetti indesiderati, tenuto conto della esplicita e sistematica valutazione delle prove disponibili, commisurata alle circostanze del caso concreto e condivisa, laddove possibile, con il paziente o i caregivers[1].
I medici sono tenuti ad attenersi alle Linee guida “salve le peculiarità del caso concreto”, ogni volta che, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie, l’ambito specifico di azione sia regolato dalle stesse[2]. Con la Legge n. 24/2017 è stato, quindi, introdotto un obbligo di comportamento del personale sanitario, nonché reso tendenzialmente sistematico il ricorso alle Linee.
Queste sono definite da enti e istituzioni pubblici e privati, da società scientifiche e associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, iscritte in un apposito elenco, istituito e regolamentato con decreto del Ministro della Salute, e l’unico punto di accesso alle Linee Guida e ai relativi aggiornamenti è istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, che definisce le priorità in merito alle tematiche cliniche organizzative e di salute pubblica da trattare, stabilisce gli standard metodologici per la predisposizione delle Linee, verifica la corrispondenza delle stesse ai criteri prestabiliti, valuta le evidenze scientifiche dichiarate a supporto e, solo all’esito positivo di tale processo di corrispondenza, pubblica le Linee Guida nel Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG).
Lo scopo dichiarato è quindi lodevole: supportare i medici nelle loro decisioni, massimizzando, da una parte, i risultati e le risorse dell’assistenza sanitaria e, dall’altra, omogeneizzando la prassi clinica, in presenza di situazioni analoghe, per contrastare l’utilizzo di procedure ad efficacia non documentata.
Ma di supporto alle decisioni cliniche eppur si tratta.
Il che significa che l’utilizzo delle Linee guida non dovrebbe escludere la discrezionalità tecnica del medico, seppur basata su dati oggettivi e riscontrati, ma essere necessariamente integrato con il giudizio clinico e l’esperienza del professionista, tanto più che il sistema fa salve le specificità del caso concreto, restituendo al medico lo spazio e la libertà per l’esercizio della sua arte, nel migliore interesse del paziente.
Purtroppo, principi di così cristallina evidenza spesso non sono declinati nella realtà.
La medesima Legge n. 24/2017, infatti, nel delineare e disciplinare il complesso Sistema Nazionale Linee Guida, ha ridisegnato l’errore medico dal punto di vista penale, prevedendo che il medico, che sbaglia per imperizia, non debba rispondere di omicidio colposo o lesioni personali colpose, se ha rispettato le Linee guida o, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali[3].
Dunque, la punibilità viene esclusa quando, sebbene vi sia una lacuna professionale, ossia un difetto di competenza scientifica nel medico, questi abbia comunque seguito le Linee guida stabilite per quella casistica e, quindi, prestato un’assistenza conforme al sistema definito dalla legge, anche se poi, a causa di quella stessa esecuzione pedissequa, ha causato la morte o la menomazione del suo paziente.
Anche qui, l’intento della riforma è chiaro, ossia conciliare l’esigenza di garantire la sicurezza delle cure rivolte ai pazienti, con quella di assicurare una maggiore serenità agli esercenti la professione sanitaria, per evitare gli effetti di un contenzioso potenzialmente enorme[4].
Eppure, di fronte a questa previsione, il dubbio sorge spontaneo: quale medico avrà il coraggio di tentare nuove vie nell’interesse del paziente, discostandosi dalle Linee guida e invocando le peculiarità del caso concreto, ben sapendo di poter non avere, in questo caso, la copertura di una tutela legale automatica, che esclude, in caso di evento avverso, la sua punibilità?
Perché quelle peculiarità, qualora si addivenisse in sede penale, verrebbero necessariamente sottoposte al vaglio di un giudice, con esiti incerti per il medico, anche nell’ipotesi in cui avesse agito “secondo scienza e coscienza”.
E di questo un medico è drammaticamente consapevole.
Mi si obietterà che l’ambito di non punibilità è limitato alla sola colpa per imperizia, non a quella per imprudenza o negligenza, che restano pertanto pienamente punibili, in quanto determinate da un elemento psicologico ingiustificabile, ossia la disattenzione e la superficialità del medico nei confronti del paziente.
Mi si dirà che, anche nell’ambito della colpa per imperizia, la successiva giurisprudenza ha chiarito che la disposizione penale ha inteso sottrarre alla punibilità il solo profilo della colpa lieve e non casi di colpa grave[5].
Ma tutto questo non esclude la portata del dubbio sollevato.
Il sapere scientifico e tecnologico può davvero essere codificato, metabolizzato e reso disponibile in forma condensata, per orientare agevolmente, in modo efficiente e appropriato, le decisioni mediche?
La professione medica, per la complessità delle situazioni che possono verificarsi nella realtà, prima fra tutte per la variabile umana, che ne costituisce il precipuo oggetto, è difficilmente contenibile entro situazioni standard e predefinite. È lo stesso paradigma di scienza che, oltre a rifiutare ogni pretesa di immobilismo, dovrebbe confliggere con il sistema delineato e con l’uso distorto che, nella pratica, se ne può fare. Le Linee guida non possono, né devono esaurire il sapere scientifico, che deve trovare ingresso nel processo decisionale, diagnostico e terapeutico.
Invero, la pedissequa osservanza delle Linee guida, priva di una specifica valutazione del caso, determina il rischio di reprimere l’indipendenza, l’autonomia e la discrezionalità del medico, laddove questi adotti le raccomandazioni delle Linee, al solo scopo di evitare future ripercussioni di natura medico–legale (cd. medicina difensiva).
Standardizzare le cure mediche aumenta davvero la qualità dell’assistenza o si limita a ridurre i rischi, non tanto e non solo del paziente, ma piuttosto di coloro che forniscono assistenza sanitaria, delle assicurazioni mediche e degli organizzatori sanitari, tutelando un interesse corporativo?
E tralascio profili di possibile conflitto di interessi, da parte degli estensori delle Linee guida, “validati” nell’ambito del sistema gestito dall’Istituto Superiore di Sanità, ma basterebbe ricordare le Linee guida applicate per la gestione dell’emergenza Covid, per farsi venire seri dubbi sulla responsabilità decisionale di soggetti portatori di interessi personali ed economici, in contrasto con l’imparzialità richiesta da tale responsabilità.
Se le Linee guida “dovessero rispondere solo a logiche mercantili” infatti “il rispetto delle stesse a scapito dell’ammalato non potrebbe costituire per il medico una sorta di salvacondotto, capace di metterlo al riparo da qualsiasi responsabilità, penale e civile, o anche solo morale… a nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute[6]”.
Allora, cari medici, riappropriatevi dello spazio che la vostra soggettività decisionale merita, senza alcun atteggiamento “automatico” di adesione alle raccomandazioni di qualsivoglia Linea guida, ma ogni vostra decisione sia il risultato di un’analisi ponderata del contenuto e dell’affidabilità scientifica delle informazioni in esse contenute, in relazione alle caratteristiche del singolo caso clinico che dovete affrontare.
“Questo concetto di libertà nelle scelte terapeutiche del medico è un valore che non può essere compromesso a nessun livello, né disperso per nessuna ragione, pena la degradazione del medico a livello di semplice burocrate, con gravi rischi per la salute di tutti[7]”.
Le Linee guida, pur rappresentando un importante ausilio scientifico, con cui siete tenuti a confrontarvi, non devono eliminare la vostra autonomia nelle scelte terapeutiche, dal momento che siete comunque vincolati a scegliere la migliore soluzione curativa, considerate le peculiari circostanze del caso concreto e la specifica situazione del paziente, nel rispetto della volontà “sovrana” di quest’ultimo, al di là delle regole cristallizzate in protocolli medici.
Ricordate?
Avete giurato “di esercitare la medicina in autonomia di giudizio e responsabilità di comportamento, contrastando ogni indebito condizionamento, che limiti la libertà e l’indipendenza della professione;
di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza, nel rispetto della dignità e libertà della persona, cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto professionale;
… di perseguire con la persona assistita una relazione di cura, fondata sulla fiducia e sul rispetto dei valori e dei diritti di ciascuno e su un’informazione, preliminare al consenso, comprensibile e completa;
di attenermi ai principi morali di umanità e solidarietà, nonché a quelli civili di rispetto dell’autonomia della persona;
di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina, fondato sul rigore etico e scientifico della ricerca, i cui fini sono la tutela della salute e della vita[8]”.
Certo, occorrerà un ripensamento dell’intero sistema, magari attraverso delle riforme legislative, che vi riconsegnino una vera libertà diagnostica e terapeutica, in accordo con il giuramento che avete fatto, ma siate anche voi fautori del cambiamento, per riappropriarvi del ruolo che vi compete.
Una pedissequa esecuzione delle Linee guida, che trascuri la relazione di cura con il paziente, intromette tra voi e “l’oggetto” del vostro sapere una barriera astratta, fredda e cieca, che compromette l’immediatezza del rapporto tra medicina e sofferenza. Solo che il paziente non è “oggettivabile” in alcun prontuario di nozioni e pratiche mediche, ma essere umano unico e irripetibile.
Allora, unicamente riconoscendo nel paradigma umanistico il supporto fondante della vostra professione, potrete finalmente restituire il vostro sguardo al malato, non più mero “corpo della malattia”, ma Persona che soffre.
[1] Presentazione del nuovo Sistema Nazionale Linee Guida – SNLG, 17 aprile 2018.
[2] Art. 5, comma 1, L. 8 marzo 2017, n. 24 (cd. Riforma Gelli-Bianco) : Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati, nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali.
[3] Art. 590-sexies c.p. (Responsabilità’ colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario): Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.In precedenza, vigeva l’art. 3, comma 1, del DL 13 settembre 2012, n. 158 (cd. Riforma Balduzzi), che delimitava l’area della responsabilità del medico ai soli casi di colpa grave, prevedendo che lo stesso, qualora avesse provocato un danno al paziente con colpa lieve, non ne rispondesse, purché provasse di essersi attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. La norma, astrattamente applicabile a tutte le tipologie di reato commesse in ambito sanitario (e quindi non solo alle fattispecie colpose di omicidio e lesioni personali), pur avendo introdotto il concetto di linee guida e buone pratiche accreditate (poste dalla disposizione sullo stesso piano), tuttavia non specificava quali rilevassero ai fini della non punibilità, determinando un proliferare abnorme delle stesse, su cui è poi intervenuta la L. n. 24/2017, che ha ordinato il complesso delle Linee guida nel sistema descritto, definendo per legge i requisiti di pubblicazione per il loro accreditamento.
[4] Nonché, aggiungerei, rendere più semplice anche il compito di chi è chiamato a giudicare in sede penale, potendo essere sufficiente che questi si limiti a verificare la correttezza e l’accreditamento delle Linee guida allegate dalla difesa, attraverso la loro pubblicazione nel Sistema Nazionale Linee Guida, e l’effettiva conformità alle stesse della condotta tenuta dal medico.
[5] Cass. SS.UU., 22 febbraio 2018, n. 8770, secondo cui l’art. 590-sexies non è applicabile, appunto, in caso di colpa derivante da imprudenza o da negligenza, nonché quando l’atto sanitario non sia governato da alcuna Linea guida o da buone pratiche o, ancora, quando le Linee guida siano state individuate e selezionate dal medico in maniera inadeguata, per lo specifico caso, o infine, in caso di colpa grave da imperizia, nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.
[6] Cass. Pen., sez. IV, 2 marzo 2011, n. 8254.
[7] Cass. Pen., sez IV, 22 aprile 2015, n. 24455.
[8] Giuramento di Ippocrate, estratto del testo revisionato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri il 13 giugno 2014.