di Sarah Demelas 

Incastonata fra le basse valli del Gennargentu, circondata da una vegetazione rigogliosa di boschi di lecci, che si alternano alla macchia autoctona mediterranea, prevalentemente erica, ginestra e cisto e le maestose vigne, sorge Atzara, piccolo borgo fondato in epoca medioevale, sito nella regione storica della Sardegna centrale denominata Mandrolisai. L’etimologia del toponimo Atzara si fa riferire all’Atza, con suono affricato [ts] di derivazione sardo-pelasgica, ispirata ad un’antica arma da guerra, cosiddetta bianca, caratterizzata da una lama affilata e tagliente.

Si pensa che il toponimo possa avere come prima genesi quella egizia con riferimento alla Dea Athor Tebana del Nilo, riportata nei bassorilievi e nella statuaria con il copricapo cornuto come quello riportato dai guerrieri sardi. Successivamente, lo si associa anche alla Dea Atena o Athena protettrice della città e del territorio di Atene, considerata, tra le altre, una divinità guerriera quindi “Atzuda”. La Falce di Athena, che poteva mietere il grano, è stata la vera rivoluzione contadina che ha portato l’Isola verso la civiltà Atzuda (citazione di Bertulu Porcheddu).

Il territorio è caratterizzato prevalentemente da rocce di tipo granitico, conseguenti a vaste intrusioni plutoniane che si consolidarono durante il loro raffreddamento, dando luogo all’ossatura strutturale dell’area.

Le genti che popolavano questo luogo sfruttarono fin dall’antichità i materiali rocciosi reperiti in situ per la costruzione del villaggio. A testimonianza di ciò, procedendo da Atzara in direzione nord-ovest, si erge imponente il nuraghe “Abbagadda”, ancora abbastanza ben conservato, ma che, a seguito di un intervento di recupero, attraverso relativi scavi ha riportato fenomeni di crollo ad andamento verticale. Attualmente, il sito versa in uno stato di totale abbandono. È presente nel sito una vasca destinata al raffreddamento dei manufatti metallici, il cui interno risulta essere ricoperto da una patina verde di ossidi di rame.  Non lontano dal sito sorgevano altri 12 nuraghi di cui si conservano solo poche tracce, ma che fortunatamente sono stati catalogati. A pochi passi vi è la presenza di una tomba dei giganti in agro privato e pertanto non fruibile dai visitatori. Il borgo è inoltre punteggiato da diverse Domus de Janas.

Si dice che il sito in passato sia stato vandalizzato da mani audaci e che i vari ritrovamenti, bronzetti, anfore e quant’altro, siano stati oggetto di un florido mercato nero.

Nella campagna a nord est del borgo, sono presenti tracce di altri insediamenti umani, in cui veniva lavorata l’Ossidiana proveniente dal Monte Arci per la produzione di punte di freccia, lame, raschiatoi per la lavorazione delle pelli. Questa località denominata “Laonisa” diede vita al primo insediamento urbano che poi si localizzò nell’attuale Atzara, successivamente l’area fu frequentata dai romani, come rivelano i ritrovamenti di giare, monete etc. Nella stessa località, sorge la chiesa medievale dedicata a Santa Maria (de Susu), fondata intorno al 1200, in cui si tenne un sinodo dei vescovi.

L’emergente interessamento, a cui si assiste da più parti dell’Isola, riguardante la riscoperta delle nostre origini, pare non abbia trovato un riscontro negli amministratori locali, probabilmente per la mancanza di fondi. Col desiderio di mettersi in gioco sarebbe possibile partecipare alla corsa alla salvaguardia e alla tutela del patrimonio archeologico locale, destinando ad esse la giusta curiosità, finora negata, che potrebbe forse rimettere in discussione i punti fermi della storia.

Si fa un bel parlare di tutela ambientale, ecologia, risorse del territorio, per poi vedere attuate politiche discriminatorie nei confronti delle piccole comunità, per la cui sopravvivenza si impone l’esclusiva soppressione dell’identità culturale, senza investire nemmeno un centesimo nel sostegno al patrimonio preesistente, a vantaggio di un mondo che livella l’autonomia e che in nome della globalizzazione ci riduce in schiavitù.

L’economia di Atzara è sempre stata legata ad attività di tipo agricolo pastorale. Gli abitanti sono ancora attualmente dediti in particolare alla coltivazione di vitigni per la produzione di vini, specialmente rossi ma non solo, dall’alta gradazione, vivaci e amabili.  Complici il microclima, la salubrità dell’aria e l’origine tonalitica del suolo, vengono prodotti vini di carattere contraddistinti da una marcata sapidità. Si stima che ogni famiglia del paese possieda in media 1,5 ettari di vigneto, che ciascuna di esse abbia le proprie antiche “ricette”, tramandate per generazioni, e che produca in tal modo vini dal sapore inconfondibile per origine, ma mantenendo inalterate ben precise peculiarità.

Da circa quarant’anni il Mandrolisai è l’unico territorio della Sardegna il cui nome coincide con la Denominazione di Origine Controllata (DOC) del vino e per questo i vini prodotti ad Atzara, per poter essere commercializzati come DOC, hanno subito le restrizioni imposte dall’alto (CEE) attraverso un disciplinare che ne adultera l’originale varietà e ne omologa il gusto.  Anche il piccolo borgo di Atzara ha conosciuto i diktat imposti da certi personaggi oltreconfine, che nulla sanno dell’identità custodita e tramandata dagli antenati.

La coltivazione della vite è principale argomento di dialogo fra gli abitanti del borgo perché ritenuta ancora una fondamentale risorsa.

Scrive il dizionario Angius/ Casalis a proposito del vino di Atzara:

“… è certo che grandissima è la sua quantità, la quale non solo basta al consumo prodigioso, che se ne fa nel paese, ma ancora a provvedere ai villaggi circonvicini…  ed a molti altri villaggi del Marghine e del Campidano, nei quali luoghi non occorra festa, in cui non vadano 5 o più azzaresi con altrettante botti di vino, senza far conto di quelli che vel trasportano in mezzine sul dorso dei cavalli. Dopo tanta quantità che si vende, ne resta ancora per bruciarlo ad acquavite per la provvista del paese. La particolare industria di questi paesani in cotal ramo trae ancora vantaggio dalle uve, e ne fa del buono zibibbo per se stessi, e per darne ad altri.”

L’attuale periodo storico sta conoscendo nel piccolo borgo di Atzara una diaspora emorragica, dovuta alla disoccupazione e alla mancanza di alternative, che creano condizioni di povertà economica crescente. Si assiste a un flusso di giovani emigranti, in primo luogo rappresentati da coloro che si prefiggono di conseguire un titolo accademico, pur sapendo che, una volta raggiunto l’intento, non potranno più tornare perché per loro non si prospettano alternative. Altri giovani che invece hanno voluto dedicarsi al lavoro manuale sono dovuti partire verso le coste della Sardegna, nei casi più fortunati, altri hanno dovuto varcare i confini nazionali. Qualcuno può vantare qualche piccolo successo nel campo imprenditoriale. Conseguentemente a questo fenomeno migratorio si è verificato, già da alcuni anni, il crollo delle nascite.  Nello stesso tempo si è registrato un picco nella popolazione anziana attorno alla quale girava il terzo settore, relativo all’assistenza, che aveva creato un indotto locale. Col passare del tempo, il numero di anziani del paese si è ridotto e i pochi superstiti della comunità atzarese vengono ora accuditi dai figli non più giovanissimi, in quanto economicamente impossibilitati a usufruire di idonee case d’accoglienza.

A tutto ciò si aggiungono i danni causati dalla pseudo pandemia, con i malati cronici aventi bisogno di cure costanti che si sono visti chiudere in faccia le porte del vicino ospedale San Camillo di Sorgono, come da direttive nazionali: quanti sotto questo abuso sono deceduti e poi sono stati catalogati come morti covid?

La nostra cultura sta scomparendo rapidamente a causa dell’impatto di scelte politiche scellerate, ma la risposta alle nostre preoccupazioni è sotto i nostri occhi ed è la nostra terra a fornircela, ascoltiamo il suo richiamo!

 

2 pensiero su “In gita nel Mandrolisai: Atzara”
  1. Brava Sarah, hai raccontato una storia che, purtroppo, non è solo riferita ad Atzara, ma la rileviamo in tante altre realtà sparse sul territorio nazionale ma anche in molti paesi europei che soffrono della stessa problematica. Naturalmente questo degrado, questo abbandono di cultura, è da addebitare ad un trend crescente di rincorsa all’opulenza favorito soprattutto da una politica perversa. Il sacrificio fisico viene notato e vissuto come un handicap, una disgrazia, e da qui deriva la forsennata ricerca ad una vita agiata e priva di sacrifici nobili.
    Comunque, speriamo che gli anziani riescano a tramandare e mantenere le tradizioni, così potremo ancora godere della bellezza di questa civiltà arcaica.

  2. Credo che una descrizione più esaustiva, precisa e coinvolgente di Atzara e del suo territorio, non potesse essere scritta.
    Quello che però maggiormente colpisce e che dentro risuona, aldilà delle parole, è l’anima che dalla descrizione emerge. Si sente il cuore, l’amore, il senso di appartenenza e l’orgoglio di chi in quel territorio è nato, lo conosce e vi affonda le sue radici.
    Molto bello. Un luogo da visitare e da conoscere meglio.
    Complimenti all’autrice

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