di Michele Carta

Date le premesse riportate nella parte 1 di questa disamina, vediamo ora, articolo per articolo, come tale carta era composta nei suoi elementi più importanti al fine dell’analisi da me proposta in questa disamina.

  1. Articolo I: si riporta in lingua italiana cosa andrà a capitare a coloro che metteranno in pericolo il dominio di Aragona sul territorio di Cagliari o sugli altri territori invasi da questa potenza iberica. Non vi è da escludere che, essendo questo un adattamento per la conquista e il dominio catalano su Cagliari, anche le precedenti versioni pisane e sarde giudicali possedessero un articolo simile contro i nemici dello Stato.
  2. Articolo II: tratta dei casi di furto. Per l’analisi che qui conduco trova rilevanza solo segnalare la presenza della figura dei Signori di Kalari che verranno spiegati meglio nei prossimi articoli.
  3. Articolo VII: questo articolo che tratta di furto fuori dal territorio abitato è importante in quanto inizia a fare denotare come i Pisani abbiano strutturato questa Carta de Logu su una Carta sarda già preesistente. In esso:
  4. si usa il verbo “levare” molto probabilmente ispirato alla parola sarda “leare” usata per indicare il togliere qualcosa a qualcuno;
  5. si fa riferimento al termine villa, sardo vidda, come organizzazione territoriale locale;
  6. si fa riferimento ai Signori del giudicato come entità ancora esistenti a cui consegnare i colpevoli del reato;
  7. si fa riferimento alla differente situazione legislativa e di regime giuridico dei colpevoli, ossia si indica che tale reato è condannato allo stesso modo sia quando commesso da Sardo con Sardo, sia da Sardo con TERRAMAGNESE, considerando che questa parola, oggi traducibile con la parola italiana “CONTINENTALE”, è tipicamente solo sarda e quindi si capisce come l’utilizzo di queste parole si rifacesse e fosse ripreso da Carte e documenti giuridici giudicali preesistenti scritti in idioma sardo, sia da Sardo a servitore del Breve del Re di Aragona, stando ad indicare che oltre al primo adattamento da Carta de Logu sarda a pisana, ci fu effettivamente anche quello da pisana a catalana mantenendo la stessa struttura di differenziazione di regime giuridico così come esistente.
  8. Articolo VIII: questo articolo tratta l’incendio di campi di pascolo per cavalli. Qui è importante riferire la presenza della parola LIBERO, stando ad indicare che, come già detto, la carta pisana si rifaceva alla struttura sociale preesistente nel giudicato.
  9. Articolo XXX: questo articolo tratta il caso in cui un uomo avesse avuto una relazione sentimentale con una donna già sposata. La parte importante è il richiamo alla struttura organizzativa del giudicato di Cagliari a livello sociale, in quanto si fa richiamo a figure cetuali dell’allora giudicato, ossia il livero di magiorale, di paniglio, di vestare, di mungiargio e il libertato. È impossibile stabilire con precisione quali siano le effettive posizioni sociali rivestite da queste figure ma è certo il fatto che almeno si ha conoscenza di come fosse articolata la suddetta struttura sociale. Alla fine dell’articolo è fatto un richiamo alla Carta de Logu senza però che sia specificata quale carta, se quella moderna o quella adattata dai pisani al momento della conquista.
  10. Articoli XXXI, XXXII, XLVIII: questi articoli trattano i reati relativi al tenere rapporti sessuali con donne sposate da parte di componenti sociali maschi delle varie caste allora esistenti. Dal punto di vista linguistico è di importanza sottolineare come molti termini scritti in italiano siano dedotti dalla lingua sarda istituzionale in uso prima della conquista pisana e ciò riporta ancora una volta al fatto che, probabilmente, molte delle leggi autorizzate dalla élite pisana conquistatrice fossero adattate e ispirate al contesto sardo preesistente. Non sarà però completamente possibile sapere se tali leggi sarde sono state modificate in toto secondo le impostazioni pisane o se su quelle già esistenti i pisani abbiano deciso di apportare solo alcune modifiche di poco o medio valore rispetto a quanto già in precedenza esistente. Ciò non toglie, in ogni caso, che in tali articoli sia possibile rilevare quella che era la forte divisione classista esistente tra membri della stessa classe sociale, membri di differenti classi sociali e, addirittura, all’interno della stessa classe sociale, tra sessi differenti.
  11. Articolo LXXV: tale articolo, che tratta dei furti, è molto importante in quanto è richiamata la struttura dell’antico Giudicato di Cagliari. Vediamo, infatti, come venga ricordata quella che era la procedura da eseguire in caso di furto ai tempi del Giudicato predetto, dato che sono citate cariche istituzionali giudicali che sotto i pisani sarebbero dovute sparire. Vediamo, infatti, richiamati i MAIORALES DE VILLA, ossia coloro che dovevano governare/gestire i villaggi; si fa richiamo alle antiche CURADORIE sarde, ossia le vecchie strutture politiche utilizzate per suddividere amministrativamente e politicamente il territorio di un Giudicato sardo (avevano la stessa funzione delle attuali province italiane); è richiamata la CORONA, ossia quella che era la massima autorità collegiale nella gestione della giustizia/politica a livello centrale e periferico. Non è possibile capire a quale tipo di Corona si ritenga collegabile quella qui citata, ma vi è da pensare che si stesse riferendo proprio alla CORONA DE LOGU, massimo organo giuridico, legislativo e sociale dell’antico giudicato, in quanto vengono qui citati i cosiddetti SIGNORI DEL REGNO DI CAGLIARI. Va da sé che, in tale raccolta di leggi, questi Signori vengono indicati come sudditi del re di Aragona, cosa assai normale dato che questa raccolta fu adattata ai nuovi conquistatori aragonesi. Ma, leggendo tra le righe, è possibile capire come anche queste cariche appena esposte ricalchino in pieno l’antica struttura giudiziaria del Giudicato di Ampurias. Pare chiaro, infatti, che se viene citata la Corona come elemento giudiziario a cui fare riferimento in caso di furto, è altrettanto manifesto come i suddetti SIGNORI siano configurabili come i MAIORALES che componevano l’antica Corona de Logu e/o con alti ufficiali regi giudicali che avevano grossi incarichi giudiziari per conto del Giudice o della stessa Corona de Logu. Quindi, ancora una volta. si nota come le conquiste straniere abbiano adattato a sè quelle che erano le strutture giuridiche, politiche e sociali preesistenti, e, in un certo qual modo, dovendo le élites straniere controllare un territorio che già aveva conosciuto e aveva memoria di un determinato impianto giuridico e politico giudicale, non pare strano dire che i Pisani prima e i Catalani poi dovettero far sì che fossero mantenute, per quanto possibile, le vecchie e primeve impostazioni/strutture giuridiche e giudiziarie preesistenti per non andare in totale contrasto con un popolo assoggettato ma comunque differente in tutti gli aspetti sociali possibili. Il popolo sardo, infatti, conosceva e tramandava istituzioni, leggi, lingua e tante altre cose che risultavano essere totalmente estranee ai nuovi conquistatori venuti da fuori. Si rendeva quindi necessaria, dopo l’invasione, una prima opera di adeguamento alle impostazioni sociali, giuridiche, politiche e giudiziarie appartenenti a questo popolo sardo “diverso”, a cui seguiva, come seguì, un’opera di cancellazione della cultura e della società autoctona preesistente in favore di una impalcatura sociale, culturale, politica e giuridica più rispondente alle strutture sociali dei conquistatori. Tale cosa non paia assolutamente strana, in quanto anche al giorno d’oggi i Sardi hanno subito un repulisti totale della loro identità, mentalità e struttura sociale, in favore di quella che è la conformazione sociale dei popoli invasori. Il repulisti moderno ha avuto i suoi effetti e possiamo dire, con certezza, che il popolo sardo è stato talmente tanto modificato e reimpostato che la cultura identitaria sarda oggi, negli anni 2000, risulta quasi del tutto inesistente e dimenticata in favore dell’impalcatura sociale colonizzatrice anglosassone. Anche l’uso della lingua italiana nella stesura di questo antico corpus di leggi dimostra come Pisa abbia avuto l’idea, in maniera anche molto pressante ed autoritaria, di fare il suo repulisti culturale e linguistico sul popolo dell’antico Giudicato. Per dominare un popolo è necessario che tale popolo soggiogato non esista più nella sua identità e cultura; quando un popolo ragiona in maniera non adatta al conquistatore, allora la mentalità di tale popolo si distrugge e si reimposta, come è stato fatto in Sardegna.
  12. Articolo LXXVI: in tale articolo viene esposto come trattare chi commetteva un furto in qualità di “famigliale”. In questo articolo si nota come si faccia richiamo alla struttura sociale dell’antico giudicato, specificando quali sanzioni andavano applicate a chi ricopriva determinate posizioni sociali e apparteneva a determinati status cetuali. Vengono citate le antiche figure del LIVERO MAIORALE e il SERVO DI SINISCHALCO e si continua a citare l’istituto giuridico della Corona, senza che sia chiarito se fosse quella de Logu o altra Corona locale. Viene citata, inoltre, una non specificata “SIGNORIA” che operava per conto del re di Aragona, ma non è possibile capire quale carica questa citazione vada ad indicare, né, allo stesso tempo, se tale carica è autoctona o di importazione stranera a seguito delle conquiste.
  13. Articolo LXXXV: in tale articolo si può rintracciare quella che era la considerazione della donna nella Castrum Calari del XIV secolo. Qui si specifica, infatti, quali erano le pene a cui incorrevano gli uomini che picchiavano una donna e causavano alla medesima fuoriuscite di sangue o mutilazioni di membra. Tolto il marito che poteva battere la moglie senza pena, in caso di mutilazione della donna i colpevoli, marito compreso, sarebbero stati colpiti con la perdita della medesima parte mutilata alla donna vittima. Linguisticamente nulla di particolare.
  14. Articolo LXXXXV: qui si tratta dell’omicidio commesso da Sardo contro Sardo o da persona qualsiasi contro un’altra persona qualsiasi. In questo articolo è possibile intravedere la struttura sociale e amministrativa dell’antico Giudicato di Ampurias tramite i vari richiami terminologici fatti dal redattore di questo corpus di leggi. È possibile, infatti, notare come siano fatti richiami di tipo territoriale nel momento in cui viene usato il termine SALTUS e il già più volte usato termine VILLA, ad indicare, come già spiegato, che i Pisani furono costretti ad adattare le loro leggi scritte in lingua italiana al contesto politico, geografico, culturale ed economico già preesistente in Sardegna. Era assai difficile, difatti, pensare di trasformare in toto un contesto politico e sociale così radicato e ben oliato nel tempo se non con una operazione lenta ma decisa di eradicazione degli usi sociali e politici antichi sardi. Pisa ci provò in vari modi e settori, imponendo una lingua nuova nel settore amministrativo/istituzionale a discapito della lingua autoctona e imponendo una differenziazione tra la legislazione da applicare ai Sardi e quella da applicare ai non Sardi. E proprio questa differenziazione in questo articolo risulta ben evidente quando tra i colpevoli che potevano porre in essere questo reato si richiama volutamente la figura del “Sardo”, stando proprio ad indicare la volontà di Pisa prima e di Aragona poi di effettuare quella distinzione sul piano giuridico e giudiziario che andava a suddividere i conquistati dai conquistatori e che ho potuto spiegare negli articoli precedenti. A questa azione di adattamento/cancellazione della giurisprudenza autoctona sarda in favore di nuove visioni giuridiche portate da fuori, si riferisce anche la citazione dell’usus sardo in fatto di matrimoni e di suddivisione dei beni tra i coniugi; la stessa Carta de Logu del Giudicato di Arborea, infatti, spiega bene come ci fosse una distinzione nella gestione dei beni matrimoniali tra chi si sposava alla moda straniera e chi alla moda giuridica “sardisca”, e, pertanto, i Pisani invasori dovettero conservare questa impostazione giuridica non potendo eradicare del tutto e da subito la struttura precedentemente in vigore in una materia così delicata per il popolo autoctono sardo. Alla primeva struttura sarda si ricollega anche il richiamo ai “BONIHOMINES” ossia a quelle persone savie ed esperte residenti in ogni villa sarda che, grazie alla loro sapienza ed esperienza personale e lavorativa, fungevano da consiglieri e periti nei vari casi in cui l’amministrazione della giustizia o della politica avesse richiesto il parere di un esperto per maggiori chiarimenti tecnici nei casi necessari. La figura dell’esperto che si fa carico di dare valutazioni quando richiesto dal potere o dalla giustizia è un fenomeno che si riscontra anche fuori dal territorio sardo ma ciò nonostante si può affermare che anche in questo caso Pisa fece riferimento alla legislazione sarda. Tale riferimento alla legislazione sarda si rafforza ancor di più nel momento in cui viene citata, in questo articolo, la necessità che “l’università” della villa in cui il reato era stato commesso si facesse carico di pagare 100 libre di aquilini piccoli al Re aragonese qualora il colpevole dell’omicidio non fosse stato catturato. Questo principio per cui anche il paese luogo dell’omicidio si dovesse caricare l’onere di tale reato in caso di mancata cattura del reo, si ricollega perfettamente all’antica giurisprudenza sarda, vigente in ogni giudicato isolano, secondo la quale ogni abitante del paese era responsabile di ciò che accadeva nella propria comunità. Tale principio veniva chiamato INCARICA e se ne trova autorevole traccia anche nella stessa Carta de Logu di Arborea, a dimostrazione del fatto che tale principio della responsabilità collettiva era radicato in ogni luogo della Sardegna, da Cagliari fino a Sassari, come si denota dal fatto che tale principio sia rintracciabile in questo documento dei primi decenni del XIV secolo così come nella suddetta Carta Arborense stilata a distanza di anni dalla carta cagliaritana, verso la fine del medesimo secolo. Ciò a dimostrazione di come la Sardegna sapesse cavarsela bene senza ingerenze esterne e di come, anzi, avesse dei principi giuridici di alta raffinatezza dottrinale non riscontrabili in altri impianti giuridici e legislativi esterni dell’epoca. Altra osservazione di non poco conto da farsi è quella relativa alla menzione che si fa, alla fine di questo articolo, delle massime cariche dell’antico Giudicato di Ampurias, dato che tali cariche, sembrerebbe fossero ancora valide e in vigore secondo la legislazione pisana prima e aragonese poi. Vi è sicuramente da supporre che il valore di tali cariche sia stato svuotato di ogni valenza giudicale e sia stato attribuito ad esse un nuovo valore politico e sociale ma è importante notare come, ancora una volta, le vecchie strutture politiche ed amministrative del Giudicato siano state giocoforza mantenute pur esistendo il tentativo, prima da me spiegato, da parte di Pisa e della Catalogna di distruggere le impostazioni sociali e politiche primeve. Tali cariche richiamate sono di importanza fondamentale e fanno capire come la Carta de Logu pisana sia stata elaborata modificando e manomettendo la preesistente Carta de Logu di Ampurias, scritta con molta probabilità in idioma sardo. Va segnalato, infatti, che queste cariche sono state aggiunte postume in questa Carta de Logu pisana, con un trafiletto apposto dal redattore di questo documento, con l’intento di specificare quali erano le pene a cui incorrevano coloro che ingiuriavano gli ufficiali nello svolgimento del loro incarico istituzionale; tali cariche erano “JIUDICE DE FACTO”, “ARMENTAIO” e “MAGGIORE”. Tutti incarichi questi esistenti nella Sardegna pre-conquista e di alto valore politico e sociale, trattandosi delle cariche tra quelle di più alto rilievo giudicale. Non è chiaro capire per i conquistatori quale valore politico/istituzionale nuovo avessero queste cariche.
  15.  Articolo LXXXXVI: tratta le aggressioni con effusione di sangue e attacchi violenti contro le persone con uso di armi bianche e simili.
  16. Articolo LXXXXVIIII: tale articolo tratta della vendita ed acquisto delle pelli e del cuoio. Un argomento di non poco conto per il mondo giudicale e per il mondo sardo post-conquista data la precisione con cui la vendita e la compera delle pelli veniva precisamente regolamentata e statuita. La Carta de Logu pisana, infatti, in merito a tale materia fa esplicito richiamo alla Carta de Logu sarda originale e a tutte le leggi consuetudinarie che vigevano nel Giudicato di Ampurias. Chiaro è come Pisa in questa materia abbia sicuramente aggiunto anche parte della propria giurisprudenza e della propria visione giuridica relativamente alla gestione di tale prodotto animale, ma ha comunque dovuto integrare con quanto preesistente, stando ciò a rappresentare, come per gli altri articoli, che la Sardegna non era una terra a cui era facilmente possibile adattare qualsiasi cambiamento politico o legislativo senza incorrere in eventuali problematiche di carattere tecnico o addirittura sociale. Per questo motivo, infatti, sia i pisani che i catalani non esitarono, sia in ambito linguistico che in altri ambiti, ad effettuare un intervento quanto più possibile radicale e urgente per sradicare le consuetudini linguistiche, culturali e sociali esistenti prima della loro conquista armata. Intervento perentorio e di cancellazione etnico-culturale che, quando non poteva essere applicato in maniera radicale, si traduceva in una distinzione netta tra quello che era fatto giuridicamente e giudizialmente dai Sardi per i Sardi (su connottu giuridico-legislativo pre-conquista), o dai dominatori stranieri per i Sardi, e tra quello che era fatto dagli stranieri conquistatori per gli stranieri medesimi. In un modo o nell’altro, dunque, si assiste ad un intervento ripetuto volto a modificare quanto già esistente in favore delle nuove visioni apportate dai conquistatori.

 

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