di Michele Carta
Intento di questo articolo è dimostrare come, attraverso l’analisi dei documenti antichi, è possibile evidenziare come l’avvento di una nuova forza elitaria all’interno di un contesto nazionale/statale già avviato e consolidato possa rendersi manifesto attraverso un cambio di lingua sistematico e costante, ovvero attraverso un processo di trasformazione linguistica che vede la progressiva estinzione della lingua nazionale locale in favore della neolingua introdotta a livello istituzionale dalle nuove élites dominanti conquistatrici.
Dopo la stesura del mio primo libro “Tabula dessas formulas de differentes instrumentos” ho iniziato a condurre le mie analisi e i miei studi in favore di quella che era la condizione linguistica della Sardegna nel corso dei secoli. Ma tale mio approccio non è stato fatto con l’intento di studiare la lingua sarda a livello grammaticale o glottologico quanto, piuttosto, sociologico e sociale, basando le mie attenzioni su quelli che erano i rapporti di forza tra i ceti sociali presenti in Sardegna dal medioevo sino ad oggi.
È mia assoluta convinzione, infatti, che le dinamiche sociali e la differenziazione di classe siano il motore attraverso il quale le società e le nazioni/Stati si muovono nel tempo, si evolvono, migliorano, peggiorano e addirittura scompaiono. Tutto è basato sulla costante lotta di classe, nella quale, purtroppo, le classi dominanti riescono ad incidere quasi totalmente. Esse incidono non solo sulla realtà sociale effettiva ma riescono, anche, a creare quelle sovrastrutture totalizzanti che impregnano la vita di coloro che appartengono ai ceti sociali inferiori, facendo credere a questi ultimi, in maniera a volte più palese altre meno, di essere in qualche modo artefici del destino sociale di una nazione, quando invece è quasi impossibile per i medesimi anche solo poter contare minimamente qualcosa nei rapporti di forza di classe che si sviluppano nel costante scontro tra classi sociali insito nella vita di una nazione/Stato. Va da sé, dunque, che le decisioni sociali sono il frutto di questo scontro tra classi alte e basse e unica via concessa al popolo per poter incidere sulla realtà sociale è creare una nuova élite che sia in grado di affrontare quella preesistente e, allo stesso tempo, di essere vincitrice nei confronti della già esistente. Inoltre, deve poter essere controllabile dal popolo stesso, affinché questa neo-élite non si comporti come la precedente divenendo a propria volta un mezzo di repressione e soggiogamento delle classi inferiori.
Tale dinamica appena spiegata è valida quando lo scontro sociale avviene all’interno delle dinamiche nazionali statali autoctone, ove membri della stessa etnia aventi la stessa cultura ed identità sociale si scontrano per il controllo del potere in un determinato Stato/nazione indipendente. Ma quando una nazione viene invasa da un’altro gruppo etnico, ovvero da un popolo portatore di differente cultura e identità sociale, allora lo scontro con questi gruppi sociali esterni si manifesterà etnia/e contro etnia/e (ossia classe dominante e classe inferiore di uno stato/nazione contro classe dominante e classe inferiore di uno stato/nazione invasore); oppure si manifesterà, in maniera quasi più veritiera e realistica, tra classe dominante locale contro classe dominante straniera che invade. Non è raro, difatti, che nelle dinamiche sociali i ceti inferiori, da ora chiamati popolo o ceto popolano, siano vittime dei ceti dominanti, da ora chiamate élites o ceto elitario, e che, come vittime, siano sacrificate in guerre e battaglie di conquista che non hanno nessun motivo e ragione esistenziale per il popolo ma che hanno solo scopi di lucro e predominio cetuale per le classi elitarie. Quest’ultima dinamica è ciò che è venuta ad essere in Sardegna in tutti questi secoli passati, dove il popolo sardo era vittima dei giochi o di potere che venivano messi in piedi dalle élites straniere a danno delle élites autoctone sarde o, purtroppo, di giochi di potere messi in piedi con la compiacenza e approvazione delle élites locali sarde o parti di esse. Questi giochi di potere e scontri tra élites hanno avuto ripercussioni a tutti i livelli sociali della storia sarda e la lingua non è stata da meno.
Questa dinamica di lotta di classe tra élites, ha fatto sì che le élites sarde sconfitte abbiano ceduto il loro predominio autoctono anche nel settore della lingua nazionale. Vediamo, infatti, come a partire dalle varie conquiste fatte dalle città marinare italiane su ampie porzioni di territorio sardo e la relativa decadenza politica e scomparsa sociale delle élites sarde, anche la lingua autoctona dell’isola che veniva usata come LINGUA DELLE ISTITUZIONI O DELLE ELITES (così io chiamo nella mia teoria linguistica il registro linguistico che appartiene ai ceti elevati) vede un inizio costante di regressione verso il totale disuso, e tale processo diverrà sempre più marcato con l’avvento sull’isola delle élites catalane e aragonesi che, nel giro di ottant’anni dalla caduta del Giudicato di Arborea, costringeranno la lingua sarda ad essere quasi esclusivamente LINGUA DEL POPOLO O DEL CETO POPOLANO (così io nella mia teoria chiamo il registro linguistico del ceto popolano inferiore). Dalla conquista iberica, infatti, il sardo si usò sempre in maniera meno costante a livello di classe dirigente e di classe burocratica isolana, dando a vedere come la sostituzione sociale avvenuta ai vertici della terra sarda si manifestava anche con l’imposizione della nuova lingua elitaria degli invasori sui vecchi ceti dominanti, ma ancor di più sui ceti popolani dell’isola, i quali, essendo socialmente poco o per nulla influenti negli andamenti generali, si ritrovarono ad utilizzare il sardo come lingua popolana, come era loro uso abituale data la loro identità sarda popolare, ma si videro costretti ad utilizzare ed imparare una lingua nuova straniera imposta dall’alto per poter comunicare con le élites straniere dominanti e poter chiedere quanto a loro concesso dalle nuove leggi volute dal conquistatore. Questo processo di morte della lingua sarda elitaria istituzionale e questo progressivo iter di deterioramento della lingua sarda del popolo sono arrivati sino ai giorni nostri ove, dopo l’arrivo dei Savoia in Sardegna e il successivo avvento delle classi elitarie anglosassoni post seconda guerra mondiale, anche la lingua sarda del popolo ha subìto un colpo mortale alla sua esistenza a causa dell’affermarsi di nuovi mezzi di comunicazione di massa e nuove politiche globaliste pensate per la distruzione delle identità locali e la creazione di un mondo fluido senza nessuna soggettività sociale autoctona. Per la Sardegna invasa, dunque, la lingua divenne una manifestazione tangibile di invasione e affermazione di predominio straniero soprattutto a livello di classi elitarie che, d’altronde, sono le classi sociali che effettivamente contano a livello generale. Chiunque abbia invaso la Sardegna ha, dai tempi passati sino ad oggi, imposto la propria lingua elitaria.
In questo contesto muoverò, dunque, la mia suddetta analisi svolgendola in tre successivi articoli, per dimostrare come già dalla caduta del primo Giudicato, quello di Cagliari Ampurias, la lingua divenne strumento per notare con chiarezza quale fosse l’élite dominante nei vecchi territori appartenuti ai Giudici di Cagliari/Ampurias.