di Michele Carta

Scrivo questo articolo per raccontare come la storia sarda assomigli molto alle vicende storiche dei giorni nostri.

1) Analisi del documento nelle sue parti essenziali.

In questa foto tratta dal libro “Relaciones de la Corona de Aragón con la isla de Cerdeña durante el último tercio del siglo XIV. Don Juan, duque de Gerona, y sus preparativos sardos,” di Solsona Climent, è possibile leggere come, tramite una missiva indirizzata alla Corona aragonese, scritta a Barcellona il 7 maggio del 1381, il Sovrano catalano fu informato del fatto che Il Signore Giudice di Arborea allora regnante, Ugone III, stava approntando quanto necessario per muovere guerra contro la città di Cagliari e contro tutti i centri ad essa limitrofi, con l’intento plausibile di mettere sotto assedio la città e costringerla alla resa.

Queste importanti informazioni giunsero al Re iberico grazie ad un lavoro di intelligence che le autorità catalane avevano organizzato in tutto il territorio sardo; ciò da a noi moderni la possibilità di capire come la guerra tra spie non sia solo un affare odierno e contemporaneo ma fu, per il caso sardo, una spina nel fianco di non poco conto fin dal tempo dei Giudici di Arborea.

Un’informativa, dunque, dell’amministratore del Capo di Cagliari Dominigo Cedrelles e alcune lettere giunte da Ufficiali presenti in Alghero funsero da base grazie alla quale i catalani poterono comprendere come il sovrano arborense stesse reclutando soldati di vario tipo, a piedi e a cavallo, e provvedendo all’acquisto di vari tipi di armi e di attrezzature militari, con l’idea iniziale di colpire prima il castello di San Michele, limitrofo al centro abitato, e poi la stessa città di Cagliari.

Nel testo fotografico sopra posto, infatti, leggiamo a partire dalla riga 2, dodicesima parola:

He entes quel Iutge d’Arborea fa, Senyor, gran pretret de gent de cavall et de peu, trabuch, bombardes d’estales et de altres artifficis de combatre forces et que deu anar so[**]e Castell de Caller et los appendicis de aquella et en especial, Senyor, sobre lo Castell de Sent Miquel, lo qual sis perdia, ço que a deu no placia, seria destruccio d’aquell de Caller dessus dit.

Vista tale situazione di pericolo, immediatamente venne richiesto al Re catalano di intervenire inviando una nave da guerra; balestrieri esperti per la difesa delle mura e altre persone in armi di varia qualifica militare, così come riportato a partire dal rigo 7, quinta parola:

trob io esser de gran necessitat que sens tregua sia trames secons de balestrers et d’altres gents de peu al damunt dit Castell de Caller et en cara una galea armada a la manera que d’aquests dies me trameses….”.

Le richieste di armi e di uomini non vennero fatte in forma semplice, ma alla riga 10, quinta parola, si supplica “supplich” il Re catalano affinchè prenda una posizione e  si adoperi per supportare militarmente la città di Cagliari e l’intera isola sarda, o in prima persona o tramite suoi rappresentanti (riga 11, seconda parola) “vos placia provehir o fer provehir a la necessitat de Caller et de tota la illa aquella…”, chiedendo che il tutto avesse luogo (riga 7, tredicesima e quattordicesima parola) “sens tregua”. L’urgenza di difendere Cagliari e i territori sardi occupati era qualcosa di impellente per le file catalane in Sardegna.

2) Valutazione sul contenuto e ragionamento politico su di esso.

Visto l’anzidetto tenore contenutistico del documento analizzato, si possono innestare i primi ragionamenti utili ad inquadrare ed analizzare quella che era la condizione delle élites straniere e nostrane in Sardegna, al fine di tracciare un quadro storico che faccia capire quali tipologie di élites la Sardegna è arrivata a conoscere sia prima che dopo la caduta dell’ultimo giudicato isolano.

Erano anni particolari quelli per la Sardegna, anni in cui il predominio dei catalani era ampiamente messo in discussione e, come si evince dal testo stesso di questa informativa, la paura e la preoccupazione erano di casa presso gli invasori catalani e presso le élites iberiche che si trovavano nella nostra terra per governare l’isola. Il fatto stesso di supplicare il sovrano ad intervenire senza indugio e senza perdita di tempo per attrezzare Cagliari alla guerra denota come le élites catalane presenti in Sardegna sapessero di non poter reggere uno scontro armato contro gli Arborea e il suo alleato Doria e, allo stesso modo, sapevano che bisognava trovare una soluzione alternativa urgente per correre ai ripari.

Capirono così, queste élites, che per fiaccare lo spirito di una nazione che resiste ad oltranza, dove non arrivava la guerra si poteva trovare un modo migliore per arrivare al proprio obbiettivo, ossia quello applicato dai romani coi propri nemici: il divide et impera.

E proprio su questo moto “divide et impera” si può rintracciare il cuore di questo articolo;.

Difatti, qualche mese dopo questa missiva in cui si rivelavano le intenzioni belliciste del Giudice Ugone III, si verificò uno degli accadimenti storici sardi più importanti della storia sia giudicale che della Sardegna in generale:

il suddetto giudice fu trovato ucciso e buttato in un pozzo assieme al corpo di sua figlia. Il Re arborense si trovava in chiesa e in tale luogo lo raggiunsero i sicari che gli tolsero la vita lasciando la Sardegna priva di una guida; una fine strana capitata ad un soggetto che, dal punto di vista politico, doveva essere intoccabile e protetto in continuazione. Sappiamo per certo che esistevano nei giudicati sardi corpi scelti di soldati che dovevano garantire la sicurezza del Sovrano sardo e della sua famiglia ad ogni ora/momento della giornata, i cosiddetti Buiakesos, e che, proprio in un momento delicato, sparirono dalla circolazione senza colpo ferire, lasciando che la morte prendesse colui che loro dovevano proteggere a costo della stessa esistenza.

Muore così, Ugone III, proprio nel momento in cui si apprestava a sferrare un colpo devastante alla città di Cagliari e muore così senza protezione, lui che doveva essere un soggetto inavvicinabile da chiunque se non dalle sue guardie e dai maiorales del giudicato che affiancavano il Giudice nel parlamento sardo, conosciuto come Corona de Logu.

Possiamo, dunque, affermare che la storia sarda ci stia presentando un “complotto”, un evento particolare in cui tutti gli elementi si allineano stranamente in un determinato modo e con determinate caratteristiche a vantaggio o svantaggio di qualcuno. Un evento che conosciamo bene nei tempi moderni, dato che la storia contemporanea è piena di episodi “particolari” e di attentati a figure politiche di basso o alto rango, come ad esempio l’omicidio Kennedy e il caso Aldo Moro in Italia. Ma tornando all’oggetto in questione, si può affermare che le tempistiche dell’omicidio di Ugone III e le modalità con cui è stato compiuto fanno legittimamente supporre come all’interno del territorio sardo e del territorio statale arborense fossero attivi gruppi di spionaggio che avevano la capacità di raccogliere molti dati interessanti e di riportarli ai propri comandi, in una maniera tranquilla e ben organizzata. Un’organizzazione spionistica che aveva, altresì, il potere di spingersi fino ad ordire e attuare atti criminali di altissimo livello nel cuore stesso della politica arborense, riuscendo a colpire perfino colui che era il rappresentante più alto dello Stato avverso agli aragonesi.

Ma tale capacità organizzativa e la portata dell’evento messo in atto ci fanno capire, purtroppo, anche come l’azione delle spie catalane non avrebbe potuto trovare compimento grazie alla sola volontà dei sicari mandati da fuori. Piuttosto, è chiaro come tali spie avessero, all’interno del Giudicato stesso, forze interne di alto livello che parteggiavano e simpatizzavano per la controparte catalana. Forze interne potenti, appartenenti alle classi sociali più elevate del Giudicato, le quali erano in grado di conoscere gli spostamenti del Giudice Ugone e della sua famiglia, la sua routine, i momenti in cui mancava la protezione dei buiakesos o, addirittura, avevano loro stessi il potere di rimuovere/interrompere tale protezione quando fosse stato necessario per compiere un misfatto contro il sovrano o i suoi familiari. E, cosa ancora peggiore che non va assolutamente esclusa, è che tali élites interne traditrici avessero la forza di organizzare e porre in atto per proprio conto e volontà l’omicidio del suddetto Giudice, eseguendo, di fatto, il lavoro per conto delle predette spie o eseguendo direttamente ordini giunti loro dalle stesse élites catalane, con cui molto probabilmente erano in contatto diretto.

Non va assolutamente escluso (e pare anzi quasi assodato) che all’interno dell’Arborea vi fosse un fronte elitario interno completamente assoggettato agli aragonesi, e che tale fronte possa e abbia deciso di eliminare un personaggio scomodo alle élites iberiche che, di lì a poco, avrebbe messo a ferro e fuoco il principale centro aragonese nel sud Sardegna.

Dunque, dall’analisi della morte di Ugone III, si può arrivare a parlare di un giudicato ad anime differenti se non contrapposte, in cui gli omicidi di Stato erano visti favorevolmente quando necessari.

Da questa prospettiva si può arrivare ad un ragionamento storico e politico di non poco conto per la Sardegna, vale a dire come, fin dall’inizio del conflitto tra Arborensi e catalani, ci fosse all’interno del giudicato una parte delle élites autoctone che volentieri preferiva mettere a repentaglio l’esistenza del proprio regno favorendo il proprio tornaconto personale. Ed è certezza dimostrata il fatto che, quando all’interno di una nazione vi siano due forze elitarie indigene che si affrontano, o subdolamente o palesemente, in maniera violenta, tale nazione è destinata o a crollare, come è accaduto al Giudicato arborense, o a vedere una delle due parti in conflitto perire e cedere totalmente il passo alla parte vincitrice. Non può esistere una nazione in cui la contrapposizione violenta tra élites si risolva in maniera pacifica senza la vittoria di una delle parti in contrapposizione o, al peggio, con la caduta totale della nazione soggetta allo scontro tra le stesse.

La Sardegna giudicale crollò e la tendenza al tradimento delle élites autoctone iniziata già sotto il Giudicato di Arborea perseverò nei secoli di dominazione straniera in Sardegna, fino ad arrivare ai giorni nostri, periodo temporale nel quale gli attuali parlamentari sardi seduti nel Consiglio regionale di Via Roma in Cagliari, memori dei loro predecessori traditori della Sardegna, continuano ancora oggi ad ascoltare ed eseguire gli ordini che arrivano dai nuovi padroni stranieri che dominano sulla nostra isola, ossia gli anglo-americani mondialisti.

Quando la Sardegna vide come padroni i catalani, le élites traditrici obbedirono ai nuovi Signori in tutto e per tutto, non soltanto eseguendone gli ordini diretti ma, addirittura, assimilandone lingua e cultura; dopo i catalani, tale processo di assoggettamento si operò con Spagnoli, Savoia e poi con gli angloamericani e, di fatto, il comportamento delle élites isolane attuali è sempre lo stesso.

Al giorno d’oggi, dunque, questa azione di ubbidienza e sottomissione alle volontà dei padroni globalisti si manifesta nel caso della legge di iniziativa popolare nota come “Pratobello”, legge contro la quale i Signori seduti in Regione hanno attivato azioni legislative e di altra natura concepite, di fatto, per non rispettare la volontà del popolo sardo (volontà palesemente dichiarata con più di 200 mila firme raccolte per questa legge di iniziativa popolare) e attuare, invece, tramite la legge cosiddetta “Sulle Aree Idonee”, i diktat imposti alla Sardegna dalle multinazionali che oggi rappresentano la vera élites straniera dominante nella nostra terra. Tali diktat, dunque, vorrebbero trasformare l’intera isola in una grande batteria da usare a scopi probabilmente poco civili ma, ahimè, molto militari. Questa è la via che le attuali élites regionali seguono.

La storia sarda, dunque, ci corre in aiuto per interpretare e spiegare, coi fatti di ieri, le dinamiche politiche e sociali dell’oggi. Chi è abituato a tradire lo farà sempre, e nel DNA delle nostre élites di questi ultimi sei secoli tale tendenza è sempre stata ben viva ed attiva. Prima coi catalani; poi con gli spagnoli; poi con i Savoia e oggi, tale tendenza, si vede più che chiaramente osservando l’operato delle nostre élites regionali, che senza batter ciglio si assoggettano al nuovo padrone globalista made in Usa.

Per concludere, dunque, si può fare un sunto delle questioni principali qui analizzate:

  1. la storia sarda ci insegna che i “complotti”, che son fatti strani e complicati per definizione, sono un qualcosa che pervade ogni secolo di vita umana ad ogni latitudine e sono fenomeni che vanno sempre attenzionati e studiati per capire sempre il perchè di un’azione politica/militare e il cui prodest connesso a tale azione “complottistica”. Il Giudice Ugone III muore in un momento decisivo per la storia sarda, nel momento in cui i catalani, presi da paura estrema, si rendevano conto che un assedio arborense alla città di Cagliari avrebbe visto una disfatta quasi certa per le forze catalane. Il giudicato, infatti, per quanto diviso al suo interno, ancora era retto in maniera sicura da un Sovrano risoluto che aveva preso da suo padre, mariano IV, la capacità e la determinazione utili a non farsi camminare in testa dallo straniero, cosa che accadrà, purtroppo, quando la linea dinastica arborense, partita da Ugone II, troverà la sua fine con la morte di Eleonora d’Arborea e suo figlio erede al trono Mariano V. Da lì in poi, i traditori trovarono campo libero e il giudicato vide il suo tramonto;
  2. come nei tempi moderni, anche nel medioevo, sardo e non, esistevano gruppi di pressione militari e spionistici che potevano condizionare l’andamento delle nazioni e determinare tutti gli aspetti esistenziali di uno stato e delle classi sociali che lo componevano. I catalani avevano la ricchezza, il potere e la forza per organizzare gruppi di pressione che dall’esterno, economicamente o militarmente, potevano comprare parti delle élites autoctone di una nazione o affossarne altre a loro contrapposte, al fine di ottenere i risultati che la Corona iberica andava perseguendo. Queste dinamiche di pressione ed ingerenza esterna non meravigliano assolutamente ai tempi d’oggi e, anzi, si può chiaramente dire che l’intero continente europeo e tante altre zone del mondo sono vittime di questi gruppi di pressione stranieri identificabili nei servizi di intelligence di varie nazioni, come Usa e UK. A conforto di ciò, voglio ricordare solo il caso tedesco “North Stream” e le cosiddette “primavere colorate” organizzate in varie parti del mondo negli ultimi venti anni. La storia sarda, quindi, anche in questo caso ci fa capire nei fatti come sia pericoloso, per una nazione sovrana, avere a che fare, volutamente o meno, con forze esterne che condizionino la vita sociale, politica e culturale delle popolazioni e delle élites che vivono nella suddetta nazione sovrana. Più si tengono distanti i gruppi di pressione, più un popolo ed un’élites possono gestire e vivere tranquilli nel proprio territorio nazionale.
  3. Punto più importante tra tutti, questo documento ci fa capire come, all’interno dell’arco sociale/cetuale sardo, le élites isolane abbiano sempre avuto, al loro interno, frange molto consistenti di persone aventi la tendenza alla sottomissione a gruppi di pressione elitari provenienti da altre zone del mondo. Persone appartenenti alle élites, dunque, avvezze alla svendita di se stessi al miglior offerente, e quando la svendita non avviene sotto versamento di denaro, avviene per tradimento ideologico dei valori sardi preesistenti o per vera e propria convinzione/formazione culturale, secondo l’idea di fondo, concepita da tali persone elitarie, che le basi culturali e sociali sarde siano, di fatto, inferiori e retrograde rispetto alle ideologie politiche, economiche e sociali inculcate dai gruppi di pressione provenienti dall’estero. Va detto, però, che questo senso di inferiorità appena descritto, oggi quasi non trova più necessità di esistere, in quanto la formazione culturale, morale ed umana che la Sardegna sta ricevendo in questi ultimi trent’anni viene decisa, organizzata e inculcata direttamente dalle élites dominatrici esterne, sia per il popolo autoctono sia per le élites Quest’azione/iter di convincimento alla trasformazione culturale e all’abbandono delle identità locali preesistenti parte fin dalla tenera età, dai banchi di scuola e dai mezzi di comunicazione di massa, con lo scopo di arrivare ad ottenere dei nuovi cittadini/consumatori globalisti che, non più sardi dal punto di vista dell’identità, diventino e si sentano “qualcosa d’altro”. Questo “sentirsi qualcosa d’altro che non sia essere sardi” sta alla base stessa delle nostre attuali élites e alla base, anche, di quei gruppi di potere e di quelle persone che oggi siedono nei palazzi della Regione. Come si potrebbe dire… sardi nella carta di identità ma stranieri nella loro reale identità. Questo fenomeno di trasformazione culturale, come su esposto, colpisce sicuramente le élites nostrane ma si riverbera anche sui popolani isolani (categoria cetuale che socialmente non conta nulla), condannando così la Sardegna ad avere molti cittadini isolani (i sardi “globalizzati” o “americanizzati”) ma nessun sardo autoctono. Contro questa deriva ed ecatombe identitaria e culturale, e contro la tendenza manifesta delle élites sarde a tradire la propria terra da secoli e secoli, la sola e unica risposta è reimpostare un nuovo assetto identitario basato sulla Giudicalità o Arborensità[1]. Forse così si avrà una Sardegna realmente sovrana, autonoma e sarda in toto.

[1] In merito al concetto da me espresso di Giudicalità vedasi l’articolo pubblicato nel sito di Dsp Sardegna “Riflessioni sull’indipendentismo sardo”  https://www.democraziasovranapopolaresardegna.it/riflessioni-sullindipendentismo-sardo/

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