di Fulvio Sarais

Dedico questa riflessione a tutte le persone che stanno mettendo a rischio la propria fedina penale per combattere la palese “immoralità legalizzata” delle pale eoliche.

È immorale sedersi sulla strada per bloccare il trasporto di materiali dannosissimi per il territorio?

È immorale che gli abitanti di un paese occupino le loro campagne per impedire devastanti esercitazioni militari?

È immorale che un ostetrico non accolga la legge dell’aborto perché sa che ucciderà un bambino?

È immorale occupare pacificamente un porto affinché non salpino bombe destinate a uccidere adulti e minori in qualche remoto angolo del mondo?

È immorale opporsi a una legge che avalli speculazioni?

È immorale rifiutare l’obbligo di un vaccino non sperimentato?

È immorale la disobbedienza civile, quindi argomentata e non violenta?

In altri termini, ricordando che uno dei fondamenti della democrazia moderna si basa sulla salvaguardia dei più deboli, è immorale rifiutare qualsiasi istanza legale che palesemente attenti ai diritti delle persone, soprattutto delle più indifese?

A scanso di equivoci, sappiamo quanto sia importante il rispetto delle leggi. La legge, nell’ottica dello stato di diritto, tutela e garantisce il bene di tutti… o per lo meno dovrebbe, visto che gli esempi appena riportati – il lettore potrebbe porne altri – dicono che a volte non è così. Non sempre ciò che è legale è anche morale. Di fronte a tale disgiuntiva, quale delle due deve prevalere: moralità o legalità? Curiosamente, è la stessa istanza legale a darci la risposta: nel nostro caso, attraverso la magistrale interpretazione che la Costituzione Italiana dà di se stessa.

Ma, prima di far parlare la Costituzione ricordiamo in estrema sintesi che per morale s’intendono quei valori che sanciscono ciò che è bene per la persona, salvaguardandone ad intra l’integrità. Alcuni aspetti della morale sono immutabili, quindi validi per ogni individuo e in ogni epoca: pena l’annullamento della persona stessa. È la moralità che guida le scelte libere dell’uomo, allo stesso modo con cui il codice stradale garantisce la libertà di raggiungere una meta tutelando se stessi e gli altri. È la moralità che mette i paletti davanti a ogni istanza che voglia scavalcare la sacralità della persona. Da tali affermazioni si evince come la morale si erga al di sopra di ogni disciplina, inclusa la legislazione civile. Questo presupposto antropologico pervade la Costituzione italiana e quelle di altri Paesi a regime democratico.

Ora, entreremo un po’ nei dettagli.

I Padri Costituenti vollero basare la Costituzione non sul mero diritto del cittadino, ma sui diritti della “persona” (cf Art. 3). L’apparente sottigliezza semantica (cittadino-persona) mirava, soprattutto in quell’epoca (1947), a delegittimare eventuali ritorni di fiamma dittatoriali, posto che il termine “cittadino” avrebbe potuto diluirsi entro interpretazioni approssimative subordinate alla ragion di stato (v.g. cittadino come mero oggetto di sudditanza, vocato a subire a oltranza eventuali autoritarismi dei governi anche sotto il pretesto del bene comune). Il termine “persona”, invece, si colloca al di sopra di ogni subdola o manifesta pretesa assolutista.

Al riguardo Giorgio La Pira, uno dei Padri Costituenti che insistette su questo aspetto, affermava: «Alcune Costituzioni recenti (Austria 1920, Lettonia 1932, Polonia 1935) mancano di tale premessa: e ne mancano per la ragione che gli essenziali e tradizionali diritti dell’uomo sono in esse considerati come il presupposto tacito ed ineliminabile di ogni Costituzione. Diverso è il caso per la nuova Costituzione italiana: essa è necessariamente legata alla dura esperienza dello Stato “totalitario”, il quale non si limitò a violare questo o quel diritto fondamentale dell’uomo. Negò in radice l’esistenza di diritti originari dell’uomo, anteriori allo Stato. Esso, anzi, accogliendo la teoria dei “diritti riflessi”, fu propugnatore ed esecutore di questa tesi: non vi sono, per l’uomo, diritti naturali ed originari; vi sono soltanto concessioni, diritti riflessi. Queste “concessioni” e questi “diritti riflessi” possono essere, in qualunque momento, totalmente o parzialmente ritirati, secondo il beneplacito di colui dal quale soltanto tali diritti derivano: lo Stato».

In sintesi: la Costituzione colloca i diritti inalienabili della persona umana al di sopra di ogni legge, delegittimando ogni sorta di totalitarismo e, potremmo aggiungere oggi, di ogni palese o camuffato abuso di potere finanche in regimi di democrazia.

Quanto appena esposto ci permette di affermare che un’azione di protesta non violenta non perde la sua essenza quando, con rigorosa cognizione di causa, ostacoli un’istanza legale che si riveli palesemente contraria al bene della persona. In questi casi si può ben dire, a mo’ di paradosso, quanto il non accoglimento di una legge ingiusta esprima un gesto pienamente costituzionale e di totale senso civico, quindi in piena sintonia con lo Stato di diritto.

Per evitare fraintendimenti non sia di troppo chiarire che per non violenza s’intendono, valga la tautologia, azioni “non violente” di gandhiana memoria, e non subdole e ostili manifestazioni verniciate di pace e amore! La non violenza attiva prima di essere un atteggiamento circostanziale è uno stile di vita: posso dissentire da una legge ingiusta non accogliendola nel quotidiano (vg boicottaggio di Montgomery; obiezioni di coscienza varie) o attraverso una manifestazione organizzata. La non violenza è un dissenso motivato da argomenti profondi e valori alti, è lucida, sa cosa non vuole e cosa vuole. La non violenza è educata, discretamente silenziosa quindi scevra da schiamazzi, insulti, volgarità, provocazioni, slogan ossessivi, gesti plateali quanto infantili e controproducenti. L’azione non violenta non difende celati e meschini interessi di parte, ma sempre “tutti i cittadini a prescindere”. La non violenza rispetta e “vuol bene” all’avversario pur rifiutandone l’agire: cerca di dialogarci, perché anche l’avversario va tutelato dalle sue stesse scelte immorali.

L’azione non violenta che si oppone con argomenti chiari alla legge ingiusta è quindi inclusiva a tuttotondo, perché stimola persino gli autori dell’ingiustizia a ripensare le loro azioni immorali. È già stato affermato più sopra che l’azione non violenta separa senza eccezioni l’ingiustizia da aborrire da chi la commette: non è mai contro le persone ma contro le azioni. Per tale motivo va portata avanti con una regia chiara, con equilibrio mentale ed emozionale e non in modo improvvisato, grossolano e impulsivo.

L’azione non violenta, quindi, non agisce in modo aggressivo contro la legalità immorale. Tuttavia, con determinazione, cerca di scoraggiarne o impedirne il compimento: senza aggredire, senza sfasciare, senza bruciare, senza picchiare, senza sparare, senza uccidere. “Posso essere disposto anche a morire per difendere un diritto umano, ma mai sarò disposto a uccidere” (cf. Carlos Mujica, presbitero argentino ucciso dal terrorismo di Stato nel 1974).

L’azione non violenta contempla anche la possibilità della sofferenza, del disagio, del “pagare di persona”. Quando si affrontano poteri forti e la posta in gioco è alta, sarebbe un’illusione pensare di poter ottenere risultati senza mettersi in gioco: nessuno può lamentarsi di un male se nel possibile non si è impegnato fino in fondo per evitarlo. Va quindi messa in conto la possibilità di poter subire multe, denunce, arresti da parte dell’ordine costituito. Essere disposti a sporcarsi la fedina penale per ostacolare o non adempiere una legge ingiusta, è un rischio che va accolto se si vuole perseverare nell’obiettivo; la storia della non violenza, lo sappiamo, annovera vari casi di rappresaglie verso chi volle “difendere la legalità dalla legalità”.

L’azione non violenta è un potente metodo educativo per le giovani generazioni. L’azione non violenta è felicemente consapevole che il bene conquistato in qualsiasi angolo del mondo, ripercuote positivamente su tutta l’Umanità: le persone… i popoli, sono uniti fra loro da un filo invisibile e in buona parte misterioso, nel bene e nel male.

Il binomio “non violenza vs legge immorale”, che pervade quasi tutta la riflessione, vuole sottolineare una convinzione personale: solo l’azione non violenta può legittimare in toto la lotta contro una legge ingiusta. La protesta violenta – oltre a dare falso motivo alla repressione – facilmente tende a delegittimare persino le motivazioni più nobili. Sono quindi decisamente convinto che praticare la non violenza attiva (diretta e indiretta) per combattere una legge ingiusta, sia l’azione più giusta, più intelligente, più potente e più impegnativa. Per questo, vorrei concludere con un pensiero di Mohandas Karamchand Gandhi:

«Gli individui hanno il dovere morale di opporsi a ogni legge ingiusta; noi cessiamo di collaborare coi nostri governanti quando la loro azione ci sembra ingiusta; la verità non danneggia mai una causa che è giusta: questa è la resistenza passiva».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *