di Giuseppe Casu

La nostra sanità regionale non gode di buona salute; pare quasi scontato dirlo ma sono necessarie delle riflessioni perché le autonomie regionali, in tema di spesa sanitaria, hanno permesso di tagliare quel vincolo di tutela uniforme della sanità dettato dalla Costituzione quale diritto alla salute che dovrebbe essere valido su tutto il territorio nazionale.

Non solo, aggiungerei che lo stipendio che i dipendenti sanitari e amministrativi percepiscono risulta essere tra i più bassi in Italia, che a propria volta, li ha tra i più bassi in Europa. Questo dato di fatto porta i lavoratori al limite del decoro e siccome mi piace essere pratico nei miei ragionamenti, penso sempre che, in un prossimo futuro nel quale vedremo abbassarsi il potere d’acquisto del danaro, un imprevisto in famiglia come delle cure dentistiche diverranno un’eventualità scarsamente affrontabile.

Perciò, per tornare all’affermazione iniziale, io credo che, nel breve periodo, accadrà che ci sarà la diaspora dei lavoratori da regione a regione, perché ognuna di esse potrà contrattare direttamente con il professionista sanitario, di fatto rendendo inservibile il CCNL e puntando a portare al ribasso lo stipendio.

Focalizzando il punto del discorso, posso affermare che le nuove generazioni sono lusingate dai guadagni lauti percepiti, a parità di lavoro, nei contesti privati, ovunque essi siano, nei quali i riconoscimenti di professionalità e le gratificazioni si concretizzano in avanzamenti importanti di carriera. Al netto del fatto che le lauree tecniche ed infermieristiche non risultano più essere ambite, chi va a lavorare fuori dall’Isola, e fuori dall’Italia, non va a procacciare un futuro ritorno a casa, come facevano due generazioni fa i loro nonni, raccogliendo e portando i risparmi in terra natìa, ma pianificano un avvenire dove si spostano. Questo, in definitiva, cosa significa? Significa perdita di risorse umane e conseguente perdita di investimento in istruzione da parte dello Stato dal momento che è stato calcolato che un medico che rimane a lavorare all’estero lascia un vuoto erariale nella misura di 200.000,00 Euro.

In tema di denaro vedo impiegare i soldi del PNRR nei cosiddetti ospedali di comunità che dal punto di vista socio-sanitario sarebbero utili ad un fine nobile, ma che rimarranno caseggiati vuoti in quanto non c’è personale in ruolo che possa dare un servizio al loro interno. Pensate soltanto che c’è una penuria cronica nel riempire le corsie di degenza e nel prestare servizi a cui va ad aggiungersi, in maniera sistematica, il basso numero dei medici di base. Immaginate come si può inaugurare un polo importante come un Ospedale di comunità, che già ha dovuto vedere razionalizzati i costi di realizzazione – che, detto diversamente, vuol dire lavori in economia – e ritrovarsi poi senza personale…

Inoltre, a livello politico sarebbe auspicabile che le élites locali in ambito sanitario permettessero che il professionista preparato e appassionato potesse emergere nella propria realtà lavorativa, senza imporre il vassallaggio alle giovani leve che finiscono per allontanarsi dal luogo di appartenenza ospedaliera e trovano altri lidi, ovviamente non sardi, dove svolgono la medesima routine facendo carriera e ricevendo responsabilità e riconoscimenti economici. Forse tornare alla vecchia figura del Direttore Sanitario di Presidio in stile manager a progetto sarebbe una soluzione per evitare l’esodo di professionisti sanitari in quanto lui stesso è da considerarsi il professionista sanitario per eccellenza.

Molti pensano che, se va via un professionista sanitario dal pubblico, questo verrà sostituito da un collega con pari competenze, in quanto nella sanità pubblica si deve comunque essere interscambiabili.  Be’ forse. Non si sa. Io che lavoro con alcune persone capaci, ritengo che la sanità pubblica sia come una squadra di calcio, dove ci sono i gregari e accanto a questi ci sono i fuoriclasse. Questi ultimi, se si sono fatti con la loro testa e le loro fatiche le proprie ossa, qualora non godono della simpatia di qualcuno dell’élites decisoria, incontrano ostilità nel proprio ambiente. Quell’ostilità frustrante e antipatica, da chi può giungere? Be’, neanche a dirlo, da chi sta sopra di loro e che coordina… incamerando successi. È chiaro che, nell’insieme, il professionista sanitario si pone la seguente domanda: «Ma chi me lo fa fare a lavorare così e a stare anche male?»

Dalla mia prospettiva lavorativa di operatore sanitario scorgo alcuni sintomi che per me sono allarmanti. Questi sintomi, ahimè, mi fanno pensare che ci sia una volontà che dispone di non far lavorare il pubblico a regime, forse per poter creare le terribili e note liste d’attesa dirottando verso il privato le prestazioni sanitarie meglio retribuite nel prontuario nazionale. Insomma, è vero, per esempio, che i Pronto Soccorsi hanno tante criticità, così come è vero che pensare di tenere in ruolo i pochi medici di base rimasti è sciagurato ma, prima di puntare il dito, bisognerebbe riformare davvero il nostro sistema sanitario. Non solo; prima di puntare il dito bisognerebbe tener presente che in questi ultimi 35 anni, se non di più, si è pensato ad una riduzione dei posti letto, senza prendersi del tempo per analizzare la topografia dell’Isola come, ad esempio, è successo con la chiusura di alcuni punti di nascita o il dirottare un certo numero di posti letto da attribuire a piccoli Ospedali verso strutture nascenti… strutture come il Mater di Olbia. A tal proposito, vi ricordo che i posti letto in degenza ospedaliera sono nella misura della popolazione di ogni singola Regione. E, cionondimeno, le aree interne soffrono poiché distanti dai centri d’offerta dei servizi essenziali. Sottolineiamo che in queste aree risiede il 36,5 per cento dei Sardi (22,7 per cento la media italiana) che rappresenta il 2,7 per cento della popolazione italiana [Dati ISTAT]; insomma, un dato abbastanza preoccupante. Mi sia concessa un’ultima considerazione: la sanità privata aiuta fin dove può, in quanto quello che non è economico non è di sua pertinenza, vedi le rianimazioni con varie lungodegenze. Ciò mi porta a pensare con una certa e preoccupata nostalgia al diritto alla salute sancito nella nostra Costituzione e che, come tale, non può essere messo in bilancio come passività dallo Stato italiano né, tantomeno, dalle singole Regioni compresa la nostra.

 

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